E ora chi glielo dice a Umberto Bossi che anche a Benevento e persino sul Gargano scorre da secoli puro sangue longobardo lo stesso delle sue valli nel Varesotto?
È questo il ritornello che è rimbalzato nel foyer appena restaurato del teatro Caio Melisso Spazio Carla Fendi nella piazza del Duomo di Spoleto, durante il primo weekend del Festival dei Due Mondi, subito dopo l’annuncio dato dal sindaco che ben due località spoletine, Il tempietto di Campello sul Clitunnio e la basilica di San Salvatore sono appena stati dichiarati Patrimonio mondiale dell’Umanità dall’Unesco, in quanto tappe della storica Via Langobardorum che da Cividale del Friuli arrivava fino alla Campania e alla Puglia.
Ma i sorrisi quest’anno a Spoleto si sprecano. La sensazione (a parte i fastidi per le tardive performance dadaiste di Vittorio Sgarbi e Marina Ripa di Meana) è che il Festival creato da Giancarlo Menotti 54 anni stia ritornando agli antichi splendori che fino a qualche lustro fa lo assimilavano ad Avignone e Edinburgo.
Grandi presenze, da Luca Ronconi a Marco Baliani, da Roberto Andò a Monica Guerritore a Jeanne Moreau, mostre e omaggi ai grandi del passato (da Luchino Visconti allo stesso Menotti) ma finalmente si è visto il ritorno dei giovani che avevano un po’ trascurato questa manifestazione.
A portare aria nuova a Spoleto, sotto l’occhio attento di Marina Mahler nel ruolo di generosa mecenate, piccole compagnie creative internazionali , gli attori di Cricot-2 del mitico Tadeusz Kantor, gli allievi della compagnia teatrale newyorkese La Mama Theatre, fondata da Ellen Stewart e ribattezzata La Mama Spoleto Open.
Si può assistere alle performance multi mediali nella chiesa sconsacrata di San Simone, ai workshop di danza della coreografa newyorkese Maureen Fleeming, alle mostre del social network MyfreeArt negli spazi di via Oberdan, nella piazzetta dell’Erba o a alle esibizioni negli appartamenti – atelier di via Salara Vecchia come From Dakar to Spoleto del senegalese Tita Mbaye, curata da Marco Luciano Ragno.
E la sera nello spazio Rosso Bastardo proprio sotto la storica rocca trecentesca disegnata da Albornoz, che ospitò papi e anche Lucrezia Borgia, su un palco all’aperto si danno il cambio fino alle ore piccole, sorprendenti promesse del pianoforte, del violoncello, del cabaret, mentre dalla cucina escono a getto continuo focaccia al forno a legna, dolci home made e una insuperabile pappa al pomodoro doc, firmate da Irene e da Rita, rispettivamente manager finanziaria e design di interni in libera uscita.