La famiglia è fatta da molte persone, di molte situazioni vissute insieme. Molte volte le persone sono come pezzi di un puzzle solo con il cognome, si vedono e conoscono gli altri membri solo in occasione di grandi eventi come matrimoni o funerali. Ogni componente della famiglia crea il suo ramo dell’albero, senza sapere però, dove stava piantato, è difficile.
Perché: dove vado se non so da dove vengo?
Mia nonna paterna era ucraina e dei suoi padri non si sa niente, non sapeva leggere e scrivere, però era molto divertente e rispettava le diversità del mondo. Di mio nonno paterno, suo marito, non ricordo nulla, è morto dopo cinque mesi dalla mia nascita; mi hanno detto che era spiritoso e che parlava quattro lingue. Da giovane cercava non si sa cosa, viaggiando nel mondo. Era nato nel febbraio 1888 e nel 1905 stava già in America; chi sa cosa cercava! Si chiamava Govanni (Jan). Quando era in arrivo un nipote diceva “guai a voi se lo chiamate come me” a suo dire, ne bastava uno con questo nome. Di lui non so molto però quanto ero incinta del mio secondo figlio maschio l’ho chiamato Yassine che vuole dire Jan (tutti lo chiamano Jasko). Dei miei nonni materni si sapeva tutto perché abitavano abbastanza vicino.
Io non ho dato grande importanza alle mie origini. La vita è volata e io a quarant’anni ho cominciato a pormi domande. Perché non si sa niente dei bisnonni paterni, e solo poche cose dei nonni paterni. Non si sa niente dal tempo prima di arrivare in Polonia e come la vita di mio padre sia iniziata a nove anni, il giorno del suo arrivo in Polonia. Guardo i miei figli crescere e mi faccio tante domande, vorrei esplorare le strade alle mie spalle e ripercorrere a ritroso quelle radici che mi tengono in piedi con le spalle dritte: chi mi ha fatto così come sono e mi ha condotta fino a qui, e mi fa scoprire cosa mi succede, o mi sono ritrovata, o meglio la vita mi ha spinto in prima linea in cima a questo albero genealogico disorientata e senza nessuno indicazione.
Perché solo le nostre origini ci dicono chi siamo, ci danno gli strumenti per capire se, come, per chi e da cosa vogliamo affrancarci. E aiutano a scegliere la direzione e danno segnali importanti per noi e per chi verrà dopo. Mio padre ha sessantasette anni ed è tempo che risponda a delle domande:
– il nonno ha fatto la guerra?
– e con chi l’ha fatta?
– perché la zia dai begli occhi verdi non si è più sposata?
– che tipo di mestiere ha fatto la nostra famiglia?
– e che ninna nanna cantavano ai bambini?
Por questo ci vuole un viaggio in treno. Quello con padre, figlia e nipote (il mio primo figlio che oggi ha 16 anni), un viaggio per noi stessi, cercando le risposte per ricominciare. Per ripercorrere la nostra vita e condividere i nostri pensieri. Quanti paesaggi vanno scorrendo di fronte ai nostri occhi, ci aiutano a capire che il tempo passa e a farci rendere conto che non è dalla nostra parte. Come ho detto, un viaggio di questo tipo è meglio farlo in treno, perché dal treno non è possibile uscire fisicamente per evitare le risposte, è un posto, dove la domanda richiede la risposta. In questi anni ho scoperto che sto ancora crescendo e che la mia famiglia ha una grande storia molto interessante. A ogni chilometro apprendo un pochino di biografia, prendiamo appunti, ricostruiamo attraverso i fatti, le fotografie, i racconti, i dubbi le lettere scritte, quelle spedite e non, le parole dette e quelle non dette, tutto questo insieme conferisce una nuova immagine della nostra famiglia. Perché la vita e l’amore finiscono se non sono coltivati, siamo ancora in tempo a capire, anche cosa non si è saputo scegliere, o quello che la vita ha regalato. Sono sorpresa di quanto sono cambiata, anche come è differente il mio punto di vista. Può essere che questo sia capitato quando mi trovato in quel tempo di mezzo, accompagnata nel mio viaggio da residenti sopra, sotto e accanto a me. E la vita è un’esperienza bellissima: oggi mi capita di reagire in modo completamente diverso da quello di un tempo, e mi piacciono i cambiamenti, viva la vita, viva la famiglia.
Ormai con gli anni voglio diventare, per mio padre, più amica che buona figlia.
Sto pianificando un viaggio con la transiberiana dalla Polonia a Vladivostok (città siberiana). Da lì ha inizio la storia della mia famiglia.
Sì, ho preso la decisione di costruire così un albero con le sue radici, e insieme, tre generazioni della mia famiglia, piantiamo un albero nella terra dei miei nonni.
Se salgo su questo treno, grazie a mia nonna paterna che mi ha insegnato la lezione che la fame viene e va con dignità e diversamente, che la vita, una volta perduta, non ritorna più.
Non so a che cosa mi dedico, io ho dentro, nel mio sangue, “l’andare via il più lontano possibile”, però con gli anni ho capito e spero che i miei figli impareranno “a rimanere.”
La consapevolezza mi rende responsable e libera.
Dana
figlia di un Padre
dall’educazione siberiana.