Archivio dell'autore: Virginia S.

I casoncelli

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Eccomi, oggi vi parlerò dell’evoluzione storica delle paste ripiene che hanno sempre avuto una valenza culturale di primo piano e sono state veicolo, spesso fondamentale, per la conoscenza della vita quotidiana, delle emozioni e dei piaceri dei popoli, contribuendo così a far meglio comprendere gli eventi storici, per questo molte località si contendono l’onore di aver dato origine a questo piatto.

Raccontano che fin dal dodicesimo secolo nel marchesato di Gavi in Liguria e precisamente in una locanda della famiglia Raviolo (nomen omen) si servivano questi tipici prodotti a base di uova, erbe e formaggio di pecora, la carne allora non era certamente sprecata per un ripieno, solo molti secoli dopo ci si permise questa variazione. Questo piatto prenderà l’identità culinaria e linguistica nella penisola italiana che mantiene sino a oggi. Già nel 1289 Salimbene da Parma, religioso e scrittore, scrive: “Nella festa di Santa Chiara, il 12 agosto 1284, mi sono mangiato per la prima volta in vita mia i ravioli senza veste di pasta. E lo dico sì a dimostrare come si è raffinata la ghiottoneria umana in gustare vivande rispetto agli uomini primitivi, che si contenevano a cibi offerti dalla natura.”. Anche nel Decameron di Boccaccio e precisamente nella novella di Calandrino e l’elitropia si parla di “…genti che niuna altra cosa facevano che far maccheroni e raviuoli e cuocerli in brodi di capponi”.

Nel Libro di cucina del secolo xiv nel quale si trovano scritti toscani, emiliani e veneziani ci sono numerose ricette delle quali riporto ancora titoli: Ravioli fritti, Ravioli commun de erbe vantazate, ecc. Da queste ricette si capisce sia la fusione di dolce e salato (carne, spezie, erbe, zucchero o miele), sia il modo di cottura in grasso (fritto) o in acqua (lesso).

Nel secolo xv la ricetta si va precisando e assume sempre più il carattere di piatto riservato ai nobili e a pochi privilegiati. Molti autori però sostengono che si tratta di un piatto essenzialmente di recupero e quindi legato alla cucina povera. Massimo Alberini, uno dei maggiori gastronomi italiani, nel libro Piemontesi a tavola scrive: “Benché ogni regione viva nella certezza di possedere la ricetta migliore ed esclusiva, queste specialità sono molto simili le une alle altre e partono, quasi certamente, da un fondo comune, l’utilizzo degli avanzi (in certi casi, quelli delle mense del principe, dopo il grande convito) che, triturati e mescolati con le verdure dei campi e dei fossi, servono a farcire dei fagottini di pasta manipolata a casa.” Anche se rappresentano un piatto che si può trovare sia sulla tavola del meno abbiente sia su quella del nobile, in ogni caso si preparano e si mangiano più spesso la domenica, il che significa che sono considerati piatto da festa. L’origine dei vari nomi va ricondotta all’afflusso di vari fattori quali ad esempio: espressioni linguistico-dialettali dei vari luoghi o la forma come quella ad anello (da analus) per gli agnolotti o la presenza di particolari ingredienti come può essere per i nostri casonsei (da caseus cioè formaggio). Quest’ultima tesi è anche sostenuta da Giuseppe Tonna nel glossario de La massera da be’ (La massaia previdente, 1554), di Galeazzo dagli Orzi dove dice che il nome dovrebbe derivare appunto “da caseus, cacio: con suffisso one+cello.

Fra l’altro segnala anche che i casoncelli dovevano essere ben conosciuti da Teofilo Folengo che li ricorda nel Baldus insieme agli gnocchi e alle tagliatelle. Alcuni autori sostengano anche che il nome possa derivare da calzoncini, perché molte ricette, soprattutto quelle un po’ più vecchie, non presentano forme a disco di pasta in seguito piegato a mezza luna o in altro modo, ma partono da un quadrato o da un rettangolo di pasta, arrotolato e piegato a ferro di cavallo, dando appunto la forma di calzoncini.

Questo per quanto attiene alla popolazione più ricca, solo con il cosiddetto bum degli anni sessanta i casoncelli diventano piatto anche per i poveri che possono assaggiare questi fagottini ripieni la domenica quando vengono preparati casoncelli di varia fattura e con differenti ripieni alla carne, con ricotta e spinaci, zucca, con prosciutto crudo e noci. Insomma tra il periodo estivo e il periodo invernale, compreso dicembre quando ci sono moltissime sagre e per il periodo natalizio magari variando un po’ la farcia rispetto alle ricette classiche. Piatto conteso fra bresciani e bergamaschi, sono di dimensioni variabili, ma di circa 5/6 cm, a forma di semicerchio di colore giallo dato dalla pasta, i casoncelli descritti nelle ricette del diciannovesimo secolo sono completamenti diversi da quelli dei ricettari moderni. Si tratta di una pasta ripiena di gusto agrodolce come quella dei tortelli mantovani di zucca, la cui origine risale allo stesso periodo tardo-rinascimentale. Il ripieno era composto da pere Spadone, minuscoli cubetti di mandorle candite e mostaccioli tritati, il tutto amalgamato con il burro e le uova. Nelle versioni più recenti, invece, il ripieno si avvicina a quelli dei normali ravioli di carne con l’impasto con patate, porro ed erbette, tra le spezie aggiunte, oltre al pepe e alla cannella si utilizza anche la noce moscata. La preparazione prevede la lavorazione della pasta fresca e la miscelazione degli ingredienti. Ottenuto l’impasto omogeneo del ripieno si formano delle palline da porre sulla pasta che verrà tagliata con un bicchiere e chiusa schiacciando i lembi esterni.

Ingredienti per la pasta:

400 gr di farina, 100 gr di semola di grano duro, 2 uova

Ingredienti per il ripieno:

125 gr di pane grattugiato, 1 uovo, 70 gr di grana grattugiato, 150 gr di macinato di salame, 100 gr di carne bovina arrostita, 5 gr di amaretti, 10 gr di uva sultanina, mezza pera Spadona o Abate, uno spicchio di aglio tritato, 1 cucchiaio di prezzemolo tritato, sale e pepe q.b.

Ingredienti per il condimento

80 gr di burro, 100 gr di pancetta tagliata a bastoncini, 100 gr di grana grattugiato, alcune foglie di salvia.

Preparazione

Amalgamate sulla spianatoia la farina, la semola, le uova, un pizzico di sale e aggiungete acqua quanto basta per ottenere un composto omogeneo, quindi lasciatelo riposare almeno 30 minuti. Nel frattempo preparate il ripieno, fate rosolare con noce di burro il macinato di salame, la carne arrostita, la pera sbucciata e tritata, quindi unite l aglio, il prezzemolo e fate insaporire alcuni istanti, versate il tutto in una terrina, unite il grana, il pan grattato, le uova, gli amaretti sbriciolati, l’uvetta tritata, una macinata di pepe e un pizzico di sale; amalgamate l’impasto (se risultasse asciutto aggiungete un goccio di brodo o acqua). Stendete la sfoglia, ritagliate dei dischi di 6/8 cm, distribuite al centro un cucchiaio di ripieno, quindi piegate i dischi di pasta sul ripieno e richiudete il bordo, ripiegate la parte ripiena sul bordo e pressate leggermente al centro. Lessate i casoncelli in acqua bollente salata, scolateli e disponeteli su un piatto da portata, cospargeteli con il grana grattugiato e condite con il burro cotto a color nocciola insieme alla salvia e alla pancetta e il gioco è fatto. Nelle mie domeniche famigliari questa era la ricetta che potrebbe fare da piatto unico in quanto preparazione molto ricca e completa.

 

Ero solo una bambolina

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Ero solo una bambolina di cinque anni quando, una brutta sera, mio zio ha abusato di me con violenza, da quel momento ho sempre avuto enorme orrore e paura degli uomini; all’età di diciassette anni sono scappata di casa perché la mia vita non poteva essere con un uomo, ma con una donna, e mia madre, non avendo accettato la mia scelta di vita, consapevole di quanto mi era successo da piccola, mi ha segregata in casa, senza neppure potermi affacciare alla finestra, dal terrazzino di casa, fino a quando un giorno mi sono messa d’accordo con un mio amico che conosceva tutto il mio passato e mi ha voluto dare una mano, così sono andata via di casa con lui. Abbiamo iniziato a condividere un piccolo appartamento insieme, ma senza nessun legame sentimentale tra noi, quando una sera lui, che abusava di alcol e stupefacenti, mi ha violentata. Ho scoperto di essere incinta e mi sono sentita crollare il mondo addosso, non volevo diventare mamma ma ero ormai al quarto mese di gravidanza, ero convinta che la mia vita fosse finita. Da questa persona ho subito altre due violenze e sono nati altri due bambini. Oggi vivo per loro, ogni mio battito di cuore, ogni mio respiro è dedicato esclusivamente a loro, soprattutto alla mia ultima e tenerissima riccioli d’oro.

Questo uomo, al momento del parto, ha mostrato un totale disinteresse e mi ha detto che lui non la voleva e che potevo lasciarla in ospedale, senza alcun problema, ma oggi lei e davvero tutto per me!

È la mia forza per andare avanti!

Questa è la mia storia, la mia vita è stata segnata da una grande cicatrice che sarà eternamente aperta e dolorosa, ma mi ha anche aiutato a essere e diventare più forte in tutto e per tutto.

Libertà

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Si può essere rinchiusi, murati

Ma nulla può fermare l’anima mia che vola libera

Portando i miei desideri più reconditi che sono dentro di me

È una danza

È yoga e ritmica

È amore e soprattutto libertà

Vita mia sorridi e continua

Grazie

Mi inchino davanti allo splendore che essa mi ha donato ed io mi sento, nel profondo, libera.

 

Il buio

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Odio il colore di questi letti maledetti, scomodi da impazzire, le pareti che fanno schifo, mi sento in un inferno immenso, senza fine, sento un diavolo dentro di me, non sono più me stessa, sto impazzendo, mi sento strana, non ce la faccio più, queste sbarre mi hanno ucciso l’anima.

L’anticamera del mio cervello non esiste più, prima ci camminavo dentro, adesso non riesco, questa misura immensa non mi fa più respirare, soffoco e non vedo l’ora della terapia, che mi fa crollare e dimenticare per un attimo il dolore che provo in questo povero cuore … spezzato e tradito. Mi sento un po’ come un personaggio delle Metamorfosi dello scrittore cecoslovacco Franz Kafka, che bene ha espresso il senso di smarrimento e di angoscia di fronte all’esistenza.

Prima parlavo con me stessa, ora ho solo silenzio e vuoto.

 

 

Appello ai famigliari dei carcerati

Come scrivere una lettera d'amore al partner per San Valentino

Mi rendo conto che, dall’esterno, è difficile comprendere, capire la vita all’interno di un carcere; ci sono, in egual misura, belle persone, e anche brutte, ma, anche se i rapporti delle convivenze sono buoni, ogni carcerato/a sente un vuoto dentro e una grande solitudine nell’anima.

Ci manca la vita reale, gli affetti di famigliari, amici, fidanzati/e, mariti e mogli, ma, soprattutto, l’affetto dei figli, tutto ti manca, ogni abitudine della vita precedente. Viviamo di piccoli gesti che a voi possono sembrare nulla, banali, ma, per chi vive questa realtà, significano tutto: una piccola lettera scritta da voi, anche con una sola frase, può ridare un senso a una giornata vuota e triste.

Voi che siete fuori, scrivete ai vostri cari e dimostrate l’affetto che avete dentro, migliorerete la vita di un vostro figlio/a, amico/a, madre, padre la vita di ognuno di noi che si trova in carcere.

Nonostante tutto

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Nonostante mi reputi ancora giovane, ho una vita intera da vivere, ma i miei trentacinque anni sono già vissuti. Ho scoperto molto presto cos’è l’abbandono, l’indifferenza, la solitudine, la cattiveria e, molto, l’invidia; ho dovuto imparare molto presto a essere indipendente, a farmi rispettare per non essere schiacciata dall’insensibilità altrui, a disinteressarmi dei giudizi cattivi di persone che non erano interessate a conoscermi in quanto “persona”, ma si soffermavano solo all’apparenza.

Ho imparato che, per ogni scelta che facciamo nella vita, c’è un prezzo da pagare e per questo mi sono sempre assunta le mie responsabilità e ora eccomi dietro queste sbarre che mi hanno sempre spaventato…

Questo muro che divide la vita reale, i sogni di avere un’altra occasione per ricominciare mentre all’interno ti confronti con una realtà fatta di persone disperate, sole, bloccate… con poche speranze in un futuro migliore, ma anche con una realtà fatta di esseri umani straordinari che fortunatamente ho conosciuto, che con piccoli gesti, ti aiutano a vivere in un ambiente così difficile, … una carezza inaspettata, un sorriso improvviso a un minimo cenno diventa grande amore, una piccola nuova famiglia …

Grazie a chi mi ha stupito con la sua dolcezza, con la sua sincerità e con molta disponibilità…

Grazie alla mia famiglia che, con la presenza mi dimostra amore, ma, soprattutto, grazie al mio amore, che dà un senso ancora alla mia vita e alla sua meravigliosa famiglia.