“Le tue colleghe ti chiamavano Lu, e io me lo faró bastare.Arrivo a Milano verso l’una, e mi sento piccola. Molto piú piccola della mia età. 16 anni tipo. Mi succede ogni volta che viaggio sola verso una grande città.
“Non ti preoccupare, ti guardo io le spalle” fa eco Emma, dal lato della sua costituzione di corde e legno. Ora che ci penso, Emma mi ha sempre accompagnata in ogni trasferta musicale, resistente alla metro e alle mie corse a briglia sciolta.
Respirone gigante e alla fermata Piola compaiono Paola, Alessandro e Leo, che si scoprirà essere l’equivalente di un anno di scuola di musica in 2 ore. All’Istituto Nazionale Tumori incontro Ugo, un giovanotto dalla faccia pulita e lo staff di Officine Buone, incontro i grandi occhi marroni di Malika e il suo sorriso luminoso. Una bella sorpresa.
Prima esibizione: sala d’attesa con tanti pazienti attaccati alla macchinetta, e i loro parenti.
“Tutto questo è tanto. Troppo”.
Mi sento piccola. Ho quasi 10 anni.Accordo Emma, sa sempre come calmarmi.
Inizia Leo. Un canto spontaneo, coinvolgente, spirituale, come se di colpo entrasse il sole intero dalla finestra e ci illuminasse tutti. E canta anche Malika, perché è impossibile non essere attratti dal suo baricentro.
E quando il pubblico è caldo, ovviamente entro io. Come se dopo Springsteen entrassero i Via Verdi.
“Comunque io voto Leo” mi fa il signor Raimondo, con un tubicino attaccato al braccio.
“Grazie, è un bell’incoraggiamento”.
“Ma non ha capito… Non in quel senso”.Mi tremano le dita. La voce un po’ mi trema. Sono in seria difficoltà dopo quasi 6 anni di live? Sí, è un pubblico diverso, non quello di una birra, sento il loro dolore e strano a dirsi, la loro assoluta verità, autenticità. So di avere la loro completa attenzione. Canto, meglio che posso, emozionata.
La signora Rosa, alla fine di tutto mi guarda e mi dice “Spero di vederti presto a Sanremo”.
Credo fosse un augurio. Mi fa un sorriso diverso dal solito convenevole. Un sorriso grato.
Il signor Raimondo mi prende le mani. “Perché sei triste Elisa? Si sente. Vai avanti. Io son un attore sai. Lo vedo”.
Passiamo alla pediatria. E quello è un altro universo. È tutto colorato, ma c’è qualcosa di stonato e ingiusto. Bambini seri. Con sguardo da adulti.
Mi sento piccola. Ho 4 anni. Ricordo di una donna che cerca la parrucca e non mi riconosce più.
Leo canta, e io mi faccio travolgere da lui. Cantiamo il soul che amiamo tanto, Otis Redding, Marvin Gaye. Improvvisiamo, ci diamo spazio.
Avrei dovuto fare un altro piano e cantare in sala mensa, ma dovevo prendere un treno che ho perso. Non c’è due senza tre.
Ma stavolta c’eri tu, Lu, assistenza clienti Freccia Rossa. Dovevo sembrarti abbastanza disperata quando ho sussurrato “Devo essere a Padova prima delle 19.30”. Mi hai guardata dritta negli occhi e scandito le parole.
“Non ti preoccupare. C’è un treno tra poco. In teoria questo biglietto non è rimborsabile, ma spiega tutto al capotreno. Garantisco io. Binario 11, per Trieste.
E poi succede una cosa incredibile.
Mi abbraccia. “In bocca al lupo”.
Cosa spinge una sconosciuta a garantire per te? A fermarsi per una piagnucolosa che ha perso il treno?
Le crisi tirano fuori sempre parti di me che credevo di non avere.
Per me cantare in un reparto di oncologia era il massimo di una unsafe situation. Ma l’ho fatto, e lo rifarei. Perché la musica è la croce e la salvezza mia, e di chi era lì con me.
Che giornata.”