Archivio dell'autore: Ludovica Amat

Informazioni su Ludovica Amat

Scribacchina per passione, campa risolvendo problemi di comunicazione ad aziende e persone, prediligendo chi produce alimenti e bevande.

Il gioiello vagabondo

Francesca Testori, quarantenne, milanese che ha scelto il Lago Maggiore come casa per la sua famiglia e la sua ispirazione, si definisce un’interprete, una liaison creativa tra un desiderio di gioiello e la sua realizzazione. E per sottolineare la vocazione ad andare incontro ai desideri di chi sogna un gioiello speciale, ha dato una forma molto originale alla sua vetrina: un calessino Ape Piaggio, trasformato in un romantico salottino viaggiante.
Simbolo principe del vagabondaggio su ruote, il calessino de IL GIOIELLO VAGABONDO dà appuntamento ai suoi fans in luoghi speciali, dehor di locali, giardini, piazzette tranquille, eventi, ed il prossimo venerdì 15 luglio 2011 festeggia il suo debutto sul Lago Maggiore, tra Arona e Stresa e precisamente all’indirizzo del RIC’S bar for EVER, un locale suggestivo immerso nel lussureggiante parco di Villa Conelli, con vista sul Lago, in prossimità del porticciolo di Belgirate.
“Dopo anni di esperienza ho scoperto esserci un gran numero di persone che non entra in gioielleria, vinta da timidezza e dalla sfiducia di trovare un interlocutore incapace di ascoltare le proprie intenzioni” dice Francesca. “Ho pensato che andare fisicamente incontro a queste persone, nei luoghi dove normalmente si incontrano o si concedono una pausa, fosse la modalità giusta per esprimere la mia volontà e capacità di ascolto. La mia atavica passione per l’Ape Piaggio, quella specie di gioco su 3 ruote, così umanizzato e accessibile, ironico e sdrammatizzante, e pure utilissimo, è stata la quadratura del cerchio. Chi accede al mio salottino su ruote trova le collezioni mie e dei miei “partner creativi”, una selezione di designer che ho coinvolto in questo progetto, oppure mi chiede di disegnare per sé qualcosa di speciale, a partire da una pietra o qualsiasi altro materiale, simbolicamente significativo. Un chicco di riso del proprio matrimonio, una pietra ricevuta in dono, una conchiglia raccolta, frammenti di natura o di oggetti, come quelli che raccoglievo sulle strade africane e che hanno dato vita alla linea Swahili.”
IL GIOIELLO VAGABONDO va incontro ai sogni, al desiderio di rendere importante, memorabile, e trasmissibile un simbolo di felicità, un simbolo così forte che fa volentieri a meno dello status, con tenerezza e allegria.
PER INFORMAZIONI:
DESIGNER: FRANCESCA TESTORI. Contatti: 338.5324796 – francesca.testori@alice.it INAUGURAZIONE: VENERDI’ 15 LUGLIO dalle 18.30 alle 20.30
RIC’S BAR FOR EVER. Lago Maggiore, Statale Sempione, Via Mazzini 11. tel: 0322/095415
INGRESSO LIBERO

IN CASO DI PIOGGIA l’iniziativa si terrà VENERDI’ 22 LUGLIO

Sciarlèn e Ciàrlin: due verità

Abbiate pazienza.
Sono terribilmente combattuta. Ho due versioni, e nessun elemento per confutare la veridicità dell’una o l’altra. Non vi resta che schierarvi, forza.

Il matrimonio di Sciarlèn
La dieta Dukan ha colpito ancora. Sciarlèn si è trasformata da rassicurante armadio quattro stagioni a servomuto. Il cosiddetto team Sciarlèn (assortiti individui accomunati dal fatto di odiare le donne) ha fatto il resto, decidendo di sottolineare gli spigolosi punti cardinali della ex fanciullona (zigomi, mascella, apertura spalle) con abito e maquillage dalle linee geometriche nette, rendendola un’opera cubista. La slanciata figura risulta così intrappolata tra linee oblique – verticali – del velo e oblique – orizzontali – dello scollo a barchetta, la firma è una linea di gessetto bianco proprio sotto l’occhio. Non paghi, le hanno appioppato uno strascico di diversi chili e metri che, non essendo sorretto da uno straccio di damigella, scarica tutto il suo immane peso sul tenace chignon della malcapitata. Sarà il primo caso di lussazione alla nuca della storia. Avevo appena finito di dire che lo sposo si veste di bianco solo se è bellissimo o smodatamente felice ed ecco il Principe comparire in mondovisione mentre trotterella giù da una rampa di scale, direi secondaria, vestito da vigile urbano (uniforme estiva) CONCILIAAAAAA? (scusate, un tuffo nel passato). Ma poi, è mai possibile che non ci sia un cane che abbia inventato una crema opacizzante per crani? Mah.
Sciarlèn percorre lenta la passerella al braccio del suo babbo, l’orso Baloo. Entrambi sono impegnati in una lotta impari con lo strascico (eh, mademoiselle, mica si può far la prova dello strascico, che poi si sporca tutto). Guadagnata la posizione in Chiesa (ma è una Chiesa?) Sciarlène entra in catalessi. O meglio, finalmente il Lexotan comincia a fare effetto e quindi: che pronuncino il suo nome nel modo sbagliato, che le abbiano cambiato religione, che del rito che stano officiando non capisca un acca, che dovrà dire sì in una lingua non sua, che il matrimonio, per non parlare della nursery, pare essere già molto affollato, appaiono tutte questioni irrilevanti.
Il principe invece deve avere qualcosa di potente in corpo che gli procura una serie convulsa di tic difficilmente interpretabili. Smorfiette, occhiolini, fino a un segnale con le mani giunte in alto che mi ricorda un po’ Michele. Quello del Glen Grant che dice “abbiamo l’esclusiva”.
Buona parte delle ospiti, bambine e ragazze, nel recarsi a leggere qualcosa di benaugurante calpestano lo strascico che occupa tutta la navata. Una piccola peste prepara le bombe di petali di rosa sotto le panche. Sciarlène e il suo Vigile (ma ha l’età di sua mamma?) escono a braccetto. Ecco che la tempesta di petali , sommati al maledetto strascico, che tira come una quadriga di cavali furibondi, rendono la passeggiata un ulteriore calvario. Morire che lui le dia una mano. Finalmente in macchina ad avvitare lampadine, diretti alla Chiesetta di Santa Devota dove le principesse depongono il bouquet, così liberiamo almeno una mano. Di fronte a Santa Devota lo strascico porta via tutta la rumenta del cortile (non c’è la passatoia), così tanto che ci siamo lo carichiamo di ulteriore peso (sassolini, foglie, cicche masticate) e chi la ammazza?
Doveva essere una roba breve, ma no, cominciano a cantare anche lì, una donna e una bambina. Al levarsi del canto Sciarlène attacca a piangere. Perché è un po’ stanchina, perché sarà mica anche questa una figliuola del mio marito? Ma soprattutto perché il Lexotan sta esaurendo l’effetto. Il team Sciarlenèn però ha scelto un trucco da favola, perché non cola per nulla. Fuori, bacino. E poi tutti alla festa. Ecco.

Il matrimonio di Ciàrlin
Sembra l’altro ieri che ero a farmi due balle così in piscina. Ed ora sono una principessa. Il matrimonio? Come dice la Sotis: è come il morbillo almeno una volta nella vita bisogna farlo. E poi con Alberto è tutto più semplice: la ginnastica tocca alle altre, per me la vita da favola. Questo strascico è un supplizio, ma è molto più lungo di quello di Kate e di Pippe faccio a meno, grazie. Papà barcolla perché ha paura che scoprano che mamma è scappata in Sudafrica e quella lì è mia sorella. Quei deficienti del team mi hanno nascosto i gioielli prima di uscire, giuro è l’ultima volta che ci facciamo di Lexotan e Pastis assieme. Alberto (ma come si è conciato?) la prossima volta che fa l’occhiolino a quella lì, gli tiro una centra. Se solo smettessero di camminarmi sullo strascico. Oddio e queste chi sono? Pensavo fossero bambine di porcellana. Oddio, mica saranno queste a tirarmi i petali di rosa, sembrano minacciosissime. Maledizione bastaaaaa, ti ho visto! Guardie! Non vale, era una buccia d’ananas. Evvvvai erano anni che volevo avvitare lampadine, Kaaaate guarda un po’..? Usti, qui non c’è la passatoia, Alberto mi aiuti? La smetti di fare le faccette? Che vuole quella? Ma esattamente “papà” che cosa significa nella vostra lingua? Ecco mi viene da piangere, dove ho messo il Lexotan?
 

STORIA DI PANCIA – 5. Le altre pance

Finalmente comincia il corso di preparazione al parto. Si tiene in ospedale, una volta alla settimana, mi dicono che può partecipare anche Gian. Niguarda è gigantesco. Peccato per i muri scrostati perché è molto bello, con tutto quel verde e gli uccellini. Il reparto di ginecologia è molto lontano, leggo i cartelli segnaletici: MEDICINA DESTRA, dopo vari scervellamenti decidiamo che da quella parte curano gli organi che stanno a destra. Per raggiungere il reparto pediniamo due pance dal passo sicuro. Il colpo di grazia è una rampa di scale sulla quale arranco, per scoprire naturalmente che c’è un comodo ascensore girato l’angolo.
La sala d’aspetto è già piena di pance; qualcuna accompagnata dalla mamma. Mi siedo a fianco a una con la faccia simpatica, vestita come me. Arriva il medico che tiene il corso; è una donna, carina, col naso a punta, gli occhi grigi e dei buffi capelli. La stanza dove si tiene il corso è tutta azzurra, i muri, i cuscini delle sdraio, la scrivania, le tende, che colorano la luce che entra dai finestroni.
Gian va a cercarsi una sedia perché si vergogna di sedersi sulla sdraio. Io guadagno una buona posizione, laterale, in modo da vedere bene sia le pance che la dottoressa. Tutte prendono lentamente posto, la dottoressa segue paziente i movimenti, tenendosi il mento con la punta delle dita.
Gian torna con una seggiola, non si è ancora accorto del pacco che gli ho involontariamente tirato. Sono imbarazzatissima. Lui comincia a guardarsi attorno apprezzando l’azzurrità della camera, sta per accorgersene, se ne accorge, mi guarda completamente smarrito, sibilando tra i denti: sono l’unico maschio. Sento che vorrebbe evaporare ma ormai ha 30 paia di occhi che lo tengono imprigionato. Sento anche che mi odia e io per consolarlo tento di sottolineare i lati positivi.
Con il tempo la timidezza è vinta dall’orgoglio di essere l’unico, di avere l’attenzione di tutte.
Per tutti gli incontri nessuna ha mai cambiato posto, come a scuola. Ci si conosce per cognome, nomi e professioni non esistono, tranne per una: “l’insegnante”. Un giorno la dottoressa menziona la categoria, non è che ne parli male, ma tradisce una naturale antipatia per il genere, che più o meno tutte confermiamo, solidali. Una giovane signora, l’insegnante appunto, confessa la sua colpa e la seppelliamo di sonore risate. La nostra sorpresa fu assoluta quando sapemmo che proprio l’insegnante aveva partorito, per prima, senza dolore, lei così piccola e così INSEGNANTE..
Il corso è stato utile per familiarizzare col luogo, per condividere con mie simili le ansie; appena finita la lezione si va a far visita a chi ha partorito. Sono pochissime le sportive che sdrammatizzano, quasi tutte ci terrorizzano con racconti terribili. Esilaranti sono certe domande che le mie colleghe pongono all’incredula dottoressa: “sono al termine, se stranutisco posso provocare il travaglio?”. La lezione si conclude con il training autogeno, la dottoressa ci invita a chiudere gli occhi e a concentrarci su qualcosa di molto piacevole, poi improvvisamente lei batte fortissimo le mani, mi sento come piena di spilli, poi smette, dopo un po’ ricomincia. E’ la prima volta che entro nell’ottica di un travaglio, respiro bene, con la pancia. Penso che ce la potrò fare. Mancano ancora tre settimane.

© Ludovica Amat, riproduzione vietata


 

Matrimonio: sì, no

La tendenza è fare qualcosa di nuovo, smarcarsi da riti e gesti del secolo, letteralmente, scorso. La resistenza è nel conservare qualcosa che non passerà mai di moda, che rassicura.
Ecco, tra tendenze e resistenze, come si festeggia il matrimonio oggi.
LA PROMESSA. Non si scherza, l’anello è imprescindibile. No budget? Riciclatene uno di famiglia (William docet).
SCEGLIERE. Non procedete a braccio, quando avrete deciso un mood stategli fedeli .
CI SONO ANCH’IO. Obbligatorio coinvolgere il fidanzato. Cominciate col fargli leggere “I’m the bride”, diario scritto da uno sposo sul sito www.donnamoderna.it : esilarante.
DOVE. Intramontabili le ville aristocratiche fuori porta, ma la tendenza conduce a spazi industriali, gallerie d’arte contemporanea, stabilimenti balneari e agriturismi chic.
TU SI’ TU NO. Per evitare che il numero degli amici degli sposi sia inferiore a quello degli amici dei genitori organizzate -prima del matrimonio- dei tea party per loro in casa di mammà. E’ il modo migliore per riuscire a fare due chiacchiere con chi vi ha visto crescere, presentare i fidanzati, ringraziare dei regali. Gli stessi ospiti riceveranno l’invito alla cerimonia, ma non al ricevimento. Se ne faranno una ragione.
RINFRESCO. Aperitivo in piedi con tanti amuse-bouche, serviti da buffet e a passaggio. Seguono, da seduti, primo/i e secondo/i e torta. Pare che gli sposi, terrorizzati dalle presupposte idiosincrasie gastronomiche degli ospiti, scelgano, dopo estenuanti prove menu, soprattutto ravioli e filetto. E via, un po’ di coraggio!
VINO. E’ spesso il grande assente, nel senso della qualità, la scelta verte su bianco o rosso, e considerato il boom che lo riguarda da oltre 10 anni la questione lascia perplessi.
REGALI. Resiste la lista nozze presso il grande magazzino e l’agenzia di viaggio. Di tendenza l’acquisto di un’opera d’arte contemporanea o fotografica. Intellettuali e gourmand scelgono di mettere la lista in libreria o in enoteca.
BOMBONIERE. Rimane, almeno per me, la parte oscura del matrimonio. Inutili, quasi impossibile trovarne di buon gusto, sono oggi prive di ogni significato. Scegliete per un’opera di bene (da Emergency a mille altre associazioni) e finalmente qualcuno ve ne sarà riconoscente.
LA MEMORIA. Posto che il miglior reportage resterà quello fatto dai vostri amici con i telefonini, scegliete un fotografo non convenzionale, che non metta le persone “in posa” e nel contempo sappia che dovranno essere fotografati proprio TUTTI.
WEB. La grande novità è il blog sulle nozze. Divertente, no cost, utile. Non fatevi scappare l’occasione… di affidarne la gestione a lui.
Nelle prossime puntate, voce per voce, i consigli pratici e i miei indirizzi segreti.


 

Assolutamente no alle scollature

Romantiche o contemporanee? Decidete chi volete essere guardando le vetrine di Luisa Beccaria o Alberta Ferretti. Comunque la pensiate il bianco stravince, le velature anche, non necessariamente trasparenti, ma sempre impalpabili e morbidissime, su tessuti sostenuti, non lucidi. Lui, per carità, stia elegantemente sobrio. Indossi l’abito qualche ora prima per non arrivare ingessato. Vesta di bianco solo se bellissimo, o scompostamente felice.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Le foto – Elegante sposa newyorchese e Sposa "troppo" con troppi parenti  – sono di Luca Bianchi e Paolo Sacchi
 

Torta

Di gran moda la wedding cake americana a più piani, ricoperta da glassa color pastello. Divertente, ma anche quanto di meno attr&ælig;nte dal punto di vista gourmand.
 

STORIA DI PANCIA – 4. Vita quotidiana

Sono alla prima settimana del settimo mese. E’ cresciuta solo la pancia. Mi piace molto: parte dall’interno dei fianchi ed è divisa in due da una riga sottile dritta dritta, che sembra disegnata da una matita beige.

La stanchezza comincia davvero a farsi sentire, sarebbe meglio non alzarsi alle sette, ma ogni altra soluzione mi sembra più faticosa o forse per me ora è peggio cambiare le abitudini. Non sono abbastanza forte e indipendente per le innovazioni. Cammino come un cow boy, piano piano e la sera sono sfinita. E mancano ancora tre mesi.

Fagiolo ha cominciato a fare ginnastica, sono un po’ preoccupata per luglio, speriamo che Gian riesca a fasi cambiare l’orario, così riesco a lavorare fino alla fine.

Ho molti sbalzi d’umore, in certi momenti mi sento molto forte e voglio dimostrarlo a tutti. Poi mi infurio perché mi sono stancata troppo e me la prendo con gli altri. Sono in ansia per il lavoro, voglio concludere tutti i contratti prima di entrare in ospedale così poi posso dedicarmi solo al bambino, ma sarebbe meglio non arrivare in ospedale con il fiato grosso.

Ho chiesto al Vic di mandarmi al corso; ho voglia di vedere altre pance e di concentrarmi sul momento. Le visite, una al mese, vanno sempre bene. Il Vic è adorabile mi tranquillizza, mi fa ridere ma soprattutto mi fa credere che ci sia un bambino dentro di me. Cosa che a me continua a sembrare impossibile, anche se lo vedo nelle ecografie, o quando il Vic mi fa sentire il suo cuore col microfono.
 

© Ludovica Amat, riproduzione vietata

Nozze contemporanee

Organizzare il ricevimento in una Galleria d’Arte contemporanea è la soluzione ideale per chi preferisce alla romantica allure di ville e palazzi antichi un’energia più contemporanea, forse meno “rassicurante”, ma altrettanto suggestiva. La Fondazione Pomodoro è a Milano la meta più ambita, e altrettanto difficile da ottenere; ma con la complicità della deliziosa Laura Camilli, che ne cura in esclusiva il catering, si può provare a chiederle intercessione presso i proprietari.

Per altre informazioni di Ludovica, andate nella ListaLina.

STORIA DI PANCIA – 3. La sindrome della Madonna

Nei primi tre mesi di gravidanza non ho mai avuto, come capita, nausea e vomito; avevo però sempre un gran sonno, per la prima volta in vita mia pesantissimo, come quello dei bambini. Avevo subìto una specie di regresso, ero molto più fragile emotivamente, avevo paura di attraversare la strada e sempre voglia di scherzare. Professionalmente è stato un anno molto difficile, ma non ricordo di aver mai riso così tanto, con la socia eravamo preoccupate che il bambino nascesse cretino per lo scuotimento provocato dalle risate.
La pancia ha cominciato a farsi vedere dal quarto mese, ma fino al quinto non si notava, anche per come mi vestivo. Effettivamente tendevo un po’ a nasconderla: un po’ perché volevo sentirmi efficiente, un po’ perché non fossi costretta a parlarne con estranei, un po’ per non perdere l’attenzione degli uomini. Non mi sentivo, per questo, molto in pace con me stessa; dai racconti di altre donne avevo capito che una donna incinta è come investita da uno speciale stato di grazia che la pone al di sopra delle cose terrene (soprattutto dai “bassi” istinti). Definii questa cosa: la “sindrome della madonna”. La donna che viene colpita dalla sindrome impara, come per miracolo e al momento del concepimento, tutti i segreti sulla gravidanza e sulla cura dei bambini. Contemporaneamente, man mano che acquisisce grazia e saggezza, perde interesse per gli uomini. Marito compreso. Io non solo volevo continuare a piacere agli uomini, marito compreso, ma mi sentivo, rispetto alla gravidanza, inadeguata e pasticciona, tutto mi sembrava incredibile, ogni cambiamento difficile da accettare con disinvoltura, da incorporare e, una volta incorporato, zàcchete, ecco arrivare un’altra novità.
A sette mesi l’accettazione della pancia era completa e me ne andavo in giro tutta fiera del mio pancione; non mi dava neanche più tanto fastidio la partecipazione degli estranei che continuavano, incessantemente, a ripetere le stesse cose; in risposta anche io avevo elaborato due o tre frasette spiritose che ripetevo a tutti (esasperando la socia che era costretta a sentirle, sempre identiche, anche venti volte al giorno).
Comunque, benchè non abbia contratto la terribile sindrome, uno stato generale di grazia ha effettivamente caratterizzato la mia gravidanza; mai un mal di testa, la febbre, il raffreddore, tutti mail ricorrenti in inverno. Perfino la golosità non si faceva sentire, sono aumentata di dodici chili, nove dei quali persi alla dimissione dal’ospedale. Gli unici dolori sono stati un po’ di contrazioni alla fine del terzo mese che non mi hanno comunque impedito di andare, come tutti i Natale, a Cadaques in macchina.
A quasi cinque mesi il piccolo ha cominciato a muoversi. E’ molto piacevole, una presenza rassicurante che aumenta l’impazienza di tenere il pupo in braccio.
Ho comunque continuato fino alla fine a non capacitarmi del fatto di ospitare dentro di me un bambino vero e proprio e soprattutto che un giorno sarei entrata in ospedale con la pancia e ne sarei uscita con un figlio. A furia di non crederci ho impiegato tre giorni a partorire, alla faccia dei miei programmi e per colpa di un utero coriaceo.

© Ludovica Amat, riproduzione vietata

STORIA DI PANCIA – 2. Anna

Ripensando a luglio mi rendo conto che la perdita di Anna, mia cugina, ha potuto molto sul desiderio di avere un bambino; anche la morte deve avere un significato, non esclusivamente negativo. Innesta reazioni, è una provocazione, feroce, che spinge, a suo modo, a reagire.
Anna è nata spensierata e ribelle; a quattordici anni ha cominciato a bucarsi; disgraziatamente, anziché fare come i tossici “per bene” (che si fanno solo al sabato sera e di nascosto), lei abbandonò proprio la strada di casa, vivendo quella che considerava solo un’esperienza fino in fondo. Portava le unghie lunghe e colorate, aveva un accento spaventoso, ma aveva conservato il portamento regale di chi, da piccola, riceveva il biberon da un minuscolo piatto d’argento.
Anna era stata “salvata” cinque anni dopo, a vent’anni, da un coraggioso fratello maggiore che l’aveva ricondotta, inizialmente con la forza, nel mondo dei “sani”. Era diventata talmente normale che la trovavo perfino noiosa; del passato non si parlava mai perché lei l’aveva spazzato via, tuffandosi un giorno in una fontana, sotto gli occhi allibiti di chi le stava intorno. Io adoravo questa sorellina ritrovata, la chiamavo la mia metà pazza, anche se era diventata bacchettona e perbenista (allora non approvava che vivessi, a vent’anni, con un uomo di quindici più vecchio di me).
Tre anni dopo è cominciato l’orrore. Due gli avvertimenti: aveva lasciato senza apparente motivo il ragazzo al quale era legata da anni e non aveva partecipato al mio matrimonio per colpa di un’influenza. Poco dopo seppi che era ricoverata per una broncopolmonite. La distanza tra le nostre città, il silenzio dei suoi, la mia incapacità di essere invadente, il terrore di una conferma mi hanno dilaniato i nervi fino a quando mi ha chiamato lei, prima dell’estate. Faceva finta di niente, si è parlato delle solite cose, con il tono scanzonato di sempre, come se fossimo ancora piccole. Ho scoperto dopo che in due anni è stata ricoverata sei volte per la broncopolmonite ed ha avuto un’operazione alla gamba (che nessun chirurgo le voleva fare). Con una forza sovrumana, la sua, ha superato tutto e ripresentava regolarmente, finita la convalescenza, bella, piena, i capelli d’oro, lunghissimi. E’ venuta perfino a Milano a trovarmi per natale. L’argomento era ancora tabù ma lei era cambiata: capricciosa, chiamava in continuazione sua madre, faticava a fare le scale.
In primavera è arrivata la prima lettera; faceva di tutto per sembrare una di quelle interminabili che ci scrivevamo da ragazzine, però lo spettro qua e là compariva. “Il passato è passato, ho pagato, pago ancora, spero che non pagherò per sempre”; e ancora: “un giorno ti arriverà una lettera che ti farà piangere e mi dispiace, ma dobbiamo essere sincere come da ragazzine”.
La lettera non è mai arrivata, ha preferito dirmelo per telefono lasciandomi prima un messaggio in segreteria, “ho una brutta malattia, fanno la pubblicità in televisione, con una musica terribile”. La conferma: spaventosa. Come la sua voce, chiusa nella segreteria telefonica, piena di paura. L’ho chiamata subito. Ho sentito che preferiva sdrammatizzare e così le ho detto una serie di banalità cui non avrebbe creduto neanche un bambino.
Ma davvero pensavo che ce la facesse.
Sono andata a trovarla in maggio. Era di nuovo in ospedale, magra, con i capelli, corti e senza luce, ma gli occhi identici a sempre. Non riuscivamo a guardarci in silenzio, non siamo mai rimaste sole, quando l’ho salutata mi sono voltata indietro, non lo faccio mai. Dopo il suo ventiseiesimo compleanno è cominciata l’agonia. Di nuovo i telefoni sigillati, il muro intorno, che ho rispettato fino alla fine. Due mesi dopo un minuscolo cuore batteva dentro di me.
 

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Gonna da uomo

Lasciate perdere il pareo di Briatore, qualcuno mi sa spiegare perché perdo la testa per gli uomini con la gonna? Mi riferisco al kilt, dai tradizionalisti ai punk ma anche le gonne pareo dei birmani, insomma dagli uomini che le indossano come fossero pantaloni

STORIA DI PANCIA – 1. In principio era fagiolo

Avevo una segreta speranza: non dover prendere io la decisione. Le donne, mi dicevo, hanno già un sacco di responsabilità rispetto al fatto di mettere al mondo un figlio, mi sentivo un biblico peso sulle spalle: la continuazione della specie. E poi c’era quel fatto dell’ingiustizia nei confronti dei maschi: come mai solo a noi l’esclusiva della maternità? Io conosco tanti possibili “mammi” e tante improbabili “babbe”.
Guardavo Gian dormire come un angioletto. Lui sì che sarebbe stato un mammo perfetto, così sereno e disponibile, così presente e attento; mi vedevo già a lottare col piccolo per non perdere le sue attenzioni, il suo abbraccio morbido.
In quei giorni eravamo al mare e avevo sempre voglia di fare l’amore. Non usavamo precauzioni già da un anno; Gian si limitava a spiccare un breve e puntualissimo volo che ogni volta un po’ mi faceva tirare un sospiro di sollievo, un po’ mi rattristava. Non riuscivo a dirgli di restarsene dov’era perché non volevo essere io a decidere.
Anche l’anno scorso ero al mare, c’era il sole, caldo, la voglia di fare l’amore, la stessa situazione sentimentale; eppure ad avere un bambino neanche ci pensavo. Lo volevo. Ma non subito. Anche Gian voleva un figlio, ma a lui i desideri non si concretizzano, come a me, tutti di colpo e, di colpo, diventano urgentissimi. Così una mattina facevo il bagno con una mia amica un po’ psicologa e le spiegavo che non riuscivo a dire a Gian di non spiccare più il volo; che volevo che decidesse lui da solo, che si imponesse, proprio lui mai prevaricatore e prepotente. Ma la mia amica scuotendo la testa mi tolse ogni illusione “non puoi aspettarti questo da lui, un uomo non prenderà mai una decisione, sono codardi, fuggono dalle responsabilità” ecc. ecc. Dall’amarezza mi arrotolai dieci volte nell’acqua richiamando l’attenzione di Gian che corse preoccupatissimo, lo guardai fisso nell’occhio destro sperando di comunicargli il mio desiderio, ma Gian non sopporta di essere guardato così nell’occhio destro e si arrotolò nell’acqua anche lui.
Quella notte Gian non spiccò il volo ed io piansi due lacrime di felicità. Al ritorno a casa ebbi l’ennesima sensazione dell’unione tra mente e corpo: il mio organismo pareva infatti aver registrato il desiderio di bambino e si predisponeva ad accoglierlo. Per due mesi il mio corpo ha ospitato feste di ormoni: il seno mi faceva male, mi girava la testa, avevo le scalmane come le donne incinte, ma non lo ero ancora; il corpo si stava semplicemente organizzando in un efficientissimo comitato di ricevimento.
Il bambino si è insediato con tutte le sue forze dentro di me, secondo il vic (il ginecologo) il 20 settembre, secondo Gian quando abbiamo inaugurato le lenzuola di Sybilla, quelle con l’edera che sale sulle federe e secondo me quella volta che, trovandoci in una posizione curiosa, Gian rimase imprigionato e io morivo dal ridere anche perché, come al solito, lui non si scomponeva.
Dopo un giorno di ritardo sono andata a comprare il test in farmacia, senza dire niente a nessuno; guardavo esterrefatta la farmacista perché avevo immaginato molto solenne il gesto dell’acquisto del predictor ed invece per lei era come vendermi delle pastiglie valda. Sono corsa in ufficio, dove, per fortuna, fino alle 9.30 sono da sola ed ho fatto il test in bagno. Sono rimasta seduta sul water a guardare quell’aggeggino in un punto preciso che, se il test risulta positivo, dovrebbe diventare rosso. Lo guardo così fisso che ho paura di avere le visioni, mi si storcono gli occhi, le mani gelano, le guance bollono … rosso ROSSOOO AIUTOOO. Sempre senza cambiare posizione rido, poi piango, mi stropiccio le guance, riguardo quella specie di pennina, voglio qui subito Gian, con tutti i miei amici, no, non voglio nessuno, non lo dico a nessuno. Rimango in queste condizioni e in bagno fino alle 9.30, quando arriva la segretaria. Esco tenendo la pennina test come se il bambino fosse lì dentro, totalmente incapace di credere che sia dentro di me.

Paola, la mia socia, non arriva e io salto sulla sedia dall’impazienza, finalmente si presenta, con i suoi occhialetti da bambina e la borsa a tracolla, di traverso. La guardo, mi guarda con le sopracciglia aggrottate e le comunico, senza cerimonie “siamo incinte”. La socia è, per così dire, mia moglie, passiamo assieme otto/dieci ore al giorno da più di 3 anni, più che in buona armonia, in realtà io amo sentirmi indipendente e credo di essere la prima della classe, ma quando lei non c’è sono a pezzi e non riesco nemmeno a chiedere un preventivo per i biglietti da visita. La socia sorride strana, arranca fino alla sedia (in ufficio ci sono 3 stanze ma noi occupiamo la stessa, ai due lati di un’imparziale scrivania quadrata degli anni ’40), lì rimane (con la borsa a tracolla, gli occhialetti) e dice “naaaaaaaa”. Per Gian non riesco a confezionare la notizia come nelle pubblicità, riesco a resistere fino a quando mi viene a prendere e, nell’ascensore, gli do la polaroid (la prima di una lunga serie) che Paola mi ha scattato in ufficio, col predictor in mano e gli occhi storti. Gian la guarda con attenzione, calza un grandissimo sorriso e non parla, neanche io so cosa dire; in certi momenti, quando le emozioni sono così forti, è meglio stare zitti e gustarsi il momento. Ringrazio Dio che Gian sia come me. Fisso la visita dal Vic che risponde alla notizia con un tono elettrizzato, alla prima visita mi fa vedere il bambino con l’ecografia. E’ grande come un fagiolo con una pallina al centro, che sarebbe il cuore, che fa pif pif pif. A casa disegno per Gian quello che ho visto sul monitor e da quel momento il bambino, fino alla nascita, si chiamerà Fagiolo.
 

© Ludovica Amat, riproduzione vietata

 

WEDDING BUBBLES

certe spose inglesi, pur di non trovarsi i chicchi di riso incastrati nell'acconciatura, fanno distribuire agli amici fuori dalla chiesa, sacchettini in tela leggera contenenti mangime per gli uccellini o semi di fiori. da noi sempre più coppie di sposi preferiscono essere accolti da un lancio di petali di rose, spesso in tessuto. Ma quello che sta davvero spopolando sono le wedding bubbles, importate direttamente dagli States. un po' kitch ma divertenti, rendono moltissimo nelle foto, un po' meno se si depositano sugli abiti. la confezione più carina è quella total white a forma di tortina nuziale.

ricevimento pieds dans l'eau

due amici australiani hanno scelto per le loro nozze Bonassola, p&ælig;sino ligure di levante incastrato tra Framura e Levanto, dove sverniamo in tanti da Milano. il ricevimento si tiene in un bellissimo giardino proprio di fronte al mare (alla punta della Madonnina per chi è stato a Bonassola) e il catering è semplice ed irresistibile: solo cibo del territorio vale a dire pesto e trofie fatti in casa dalle signore del posto e frittini delle famose acciughe di Bonassola (degustabili anche su pane e burro) gamberi e calamari appena pescati. vermentino e pigato allegri e freschissimi, tutto realizzato da luca luxardo, intraprendetene e orgoglioso (del suo territorio) cuoco/ristoratore del posto. la particolarità è che i fritti, freschissimi, sono cucinati al momento da una apepiaggio che luca ha completamente presonalizzato, sia tecnicamente che nel design. la mitica ape dispensa-frittini è diventato l'appuntamento fisso all'aperitivo del weekend di bonassola ed è già stata in trasferta a milano, dove ha conquistato tutto il pubblico dello scorso salone del mobile. per dire che se volete un ricevimento come quello degli amici australiani senza spostarvi da milano luca farà come la montagna e maometto. tranne per il mare… ahimè. per maggiori informazioni: luca luxardo, ristorante PERBALLE di Bonassola, tel: 0187.813399.

LUOGHI INSOLITI DA CERIMONIA

La deliziosa chiesetta di San Bernardino alle Monache puo’ dir poco ai milanesi, piu’ facile diventa se la si colloca “nel giardino confinante con il Liceo Manzoni, in Via Lanzone”. Nata la prima volta nel 1450, abbandonata al degrado dal 1782, e’ recentemente risorta al suo originario splendore grazie ad un’associazione che ne porta il nome (si tratta probabilmente dell’unico caso di restauro di un’importante opera religiosa a cura di laici, innamorati dellabellezza e della storia della propria citta’) . Ve ne parlo perche’ e’ un posto molto speciale dove ospitare una cerimonia intima e piena di significato. Con diverse preclusioni che la rendono ancora piu’ speciale. E’ una chiesa a tutti gli effetti quindi all’interno non si beve, ne’ si mangia e tantomeno si balla, ma si possono assaporare parole e bellezza. Per le libagioni e’ perfetto l’esterno, un giardino che ospita fino a un centinaio di persone, protette da qualche gazebo. L’occasione ideale e’ un anniversario di nozze o anche il seguito di una cerimonia tradizionale, quando si ha voglia di stare vicino ai propri amici, con calma, immersi nella bellezza e nel momento. Per farsi un’idea potete partecipare questa domenica 22 maggio alla festa annuale della Chiesa, aperta a tutta la citta’, dalle 16, in via Lanzone 13. Per informazioni cercate di Miggi Baratta, instancabile, e simpaticissima portavoce dell’Associazione.

TIMBALLO DI MACCHERONI

è venuto mio padre a cena, a milano, a festeggiare i suoi 80 anni, che compirà domani. ecchissenefrega direte voi, e in effetti. però vi voglio dire che stasera il timballo di maccheroni mi è venuto benissimo, e così lo sformato di piselli e il flan di erbette sono stanca morta ma fierissima e se volete vi dò le ricette

TEMPO DI DICHIARAZIONI. D'AMORE

perchè oltre alle cerimonie di nozze non tornare a festeggiare anche gli anniversari? non necessariamente procedendo per lustri. è un buon pretesto per sè e che mette allegria agli amici più cari, è incoraggiante, romantico e divertente. e si dovrebbe cominciare con una rinnovata dichiarazione d’amore in piena regola. uno dei posti più belli in questi giorni a milano dove dichiarsi è il chiostro dell’università teologica di via cavaleiri del santo sepolcro 3. tendenzialmente non è aperto a tutti, ma se vi ci intrufolate come ho fatto io (subito dopo l’ingresso a destra) rimante rapiti dalle rose oggi tutte fiorite e dall’armonia della struttura del chiostro, aperto ma protetto, silenzioso. forse è una dichiarazione che si può fare perfino da zitti, stando immersi in quella bellezza. qual’è il vostro posto del cuore?

IL MATRIMONIO CIVILE A MILANO CAMBIA CASA

da metà giugno i matrimoni civili a milano non si celebreranno più a Palazzo Dugnani ma a Palazzo Reale. lampadari di cristallo, broccati per le poltroncine, specchi, un bel soffitto tinto di blu e un tavolo del ‘700 accolglieranno sposi e invitati. Non tutti sanno che il celebrante può essere scelto dagli sposi, è un’opportunità che dà maggiore significato alla cerimonia. Anche se il tempo del rito è breve possono essere scelte delle letture “laiche” altrettanto toccanti di quelle religiose. io pescherei dfalle p&œlig;sie di erri de luca e voi quale lettura consigliereste a una coppia di sposi?