Archivio dell'autore: Ludovica Amat

Informazioni su Ludovica Amat

Scribacchina per passione, campa risolvendo problemi di comunicazione ad aziende e persone, prediligendo chi produce alimenti e bevande.

Viva il panettone!

Alto, basso, con o senza canditi, glassato, farcito, ricoperto, senza zucchero, accompagnato da crema al mascarpone, genuinamente artigianale o democraticamente industriale, comunque la pensiate, una cosa è certa: il panettone è nato a Milano. Su quando e perché ci sono alcune versioni.

Una storia d’amore. Ughetto degli Atellani, falconiere milanese al soldo di Ludovico il Moro, è innamorato della bella Adalgisa, la figlia del fornaio Toni, caduto in disgrazia per via di una spietata concorrenza. Per conquistare la donzella e risollevare le sorti del potenziale suocero, Ughetto si propone come garzone, vende i suoi falchi, acquista del burro e altri ingredienti costosi per preparare un pane speciale, mai sperimentato, da vendere sotto Natale. Il pane, grande e tondo, ricco di frutta secca, canditi, uva passa, spezie e miele è un vero successo e porta il nome del suo impastatore: Pan de Toni. E vissero tutti felici e contenti.

Per aspera ad astra. Il cuoco della corte di Ludovico il Moro si accorge, troppo tardi, che il dolce speciale, preparato per la cena di Natale, si è ineluttabilmente bruciato. Fortuna vuole che un povero sguattero, un certo Toni, abbia conservato, sì, insomma, si sia fregato, parte dell’impasto a cui aveva aggiunto per suo diletto altri ingredienti di provenienza illecita: frutta candita, uova, zucchero e uvetta. Mosso da compassione verso il suo datore di lavoro, che minaccia di impiccarsi direttamente in cucina, gli regala il suo impasto che viene infornato così com’è.
Il successo è tale che il Duca stesso, messo a conoscenza della vicenda fa dare al dolce quello del suo accidentale inventore, pan de Toni.

Quel che è certo è che il Panettone nasce in un forno, a Milano, e che quella stessa magia di gusto e profumo si ripete ogni anno non solo nelle pasticcerie più in voga della città, ma anche e soprattutto in tantissime piccole panetterie artigianali che forse celebrano con orgoglio il fornaio che a inizio secolo rese il panettone un dolce accessibile a tutti: Angelo Motta.
 

I miei regali

PER IL MIO FIDANZATO (IDEALE)

Una maglietta disegnata da Ondine de la Feld
Le t-shirt disegnate da Ondine sono un pensiero di stile, rigorosamente Made in Italy (le scritte sono in italiano, tradotte in inglese solo nell’etichetta) che traduce per gioco e con audacia le riflessioni e i sentimenti femminili. Una forma di comunicazione virale, su cotone bio, che segue le oscillazioni degli umori e delle emozioni più attuali, sottolineando la libertà di poter manifestare sempre, con una certa dose di ironia, i propri pensieri.

La mia preferita:
“Svegliatemi solo se ne vale la pena” firmato: la bella addormentata
LA COMPRO
in un negozio di via Palermo 11 a Milano oppure qui www.wave-o.it
PERCHE’: il principe azzurro non esiste (e meno male)

PER LA COPPIA DEI MIEI AMICI DEL CUORE
PICCOLO RICETTARIO PER CUOCHI PERDIGIORNO
Un ricettario originale e spiritoso, in cui 70 ricette riscritte nei modi più imprevedibili danno vita ad un insolito libro di cucina, creativo e divertente. Dalla ricetta in stile romanzo erotico a quella in terzine dantesche, dalla ricetta stile noir anni ’50 a quella scritta come una canzone di Paolo Conte, è tutto un susseguirsi di trovate ed invenzioni, affettuosamente irriverenti, di una scrittrice ed esperta di food Roberta Deiana, autrice anche di un seguitissimo blog: Confessions of a food stylist su: www.robertadeiana.com
PERCHE’ per fortuna c’è la crisi, e si torna a cucinare, rigorosamente insieme
LO COMPRO in libreria o su www.ibs.it a 15.20 €, Editore Bietti

PER MIA MAMMA
REGALI GOLOSI
Ricette dolci e salate per tutto l’anno, 150 ricette semplici e veloci per cucinare dei pensierini golosi prêt-à-manger adatti a tutte le occasioni: dolci o salati, morbidi o croccanti, spalmabili o da bere, ghiotti o leggerissimi, per la colazione o l’aperitivo, per la salutista o lo spavaldo gourmet, per la grigliata estiva o il tè del giorno di Natale, per l’amica del cuore neomamma o la dirimpettaia ficcanaso: dalla conserve salate al cioccolato degli innamorati fino ai biscotti della colazione o alle composte di frutta per il tagliere dei formaggi… Tante ricette per far piacere e farsi piacere e per riscoprire la soddisfazione di realizzare dei regalini davvero personali.
L’autrice è Sigrid Verbert, persona deliziosa e autrice del blog www.cavolettodibruxelles.it
PERCHE’ così la smette di regalarmi vasetti preconfezionati (da altri)
LO COMPRO in libreria, Giunti Editore, 25 €
 

DECORAZIONI DA MANGIARE

ciao Luisa, sono rapita dalla foto che appare ogni tanto qui a destra, dopo il panettone, quella dove ci sono dei biscotti uno sull’altro che diventano una decorazione..da mangiare. hai la ricetta di come farli a casa, considerando che non ho mai fatto biscotti? mi paicerebbe avere decorazioni..guarda e mangia quest’anno

Pagine di cioccolato

Due volte al giorno, quando andava e quando tornava da scuola, il piccolo Charlie Buckett doveva passare proprio davanti ai cancelli della fabbrica. E ogni volta che passava di lì cominciava a camminare sempre più piano e, volgendo il naso in alto, inspirava profondamente il profumo di cioccolato che lo circondava. Roald Dahl, La fabbrica del cioccolato

Pagine di cioccolato

In casa di mio padre si fabbricava il cioccolato che, a quei tempi, veniva fatto con il cacao, lo zucchero e la vaniglia. I mattoncini molli di cioccolato venivano posati sul terrazzo a essiccare. Ogni mattina alcuni pezzi rivelavano il passaggio dei gatti, impresso a forma di fiore a cinque petali.  Colette

FOODBLOGGER PER I BAMBINI DI BORGHETTO VARA

cari tranuquilli, ospito in ragazze da marito un post scritto da un’amica foodblogger (che già venne a farci visita) per dare visibilità a una bella iniziativa che ci sarà questa domenica sui Navigli. poi, ora che ci penso, l’inserimento in questa rubrica non è così dissennato: queste ragazze (a prescindere dal fatto che lo siano già) sono certamente tutte da sposare, come la loro causa. Io ci sarò, tranquilli milanesi vi aspetto.

La rete ha un cuore grande, molto grande.
Può capitare che una foto su facebook o un post su un blog possano generare catene di solidarietà del tutto inaspettate.
E’ proprio quello che è successo qualche settimana fa.
Tutto ha inizio con un post (http://melagranata.it/2011/iniziative/una-ricetta-per-i-bambini-di-rocchetta-vara/) in cui Patrizia, foodblogger genovese, racconta di due case famiglia distrutte dalla recente alluvione in Liguria, di 20 bambini rimasti senza casa, senza vestiti, senza libri, senza nulla, di una cooperativa, che di questi bambini si occupa, senza più neanche una sede. Tutto spazzato via dalla forza devastante dell’acqua e del fango il 25 ottobre.
Nasce l’idea di raccogliere ricette e di farne un libro i cui proventi andranno alla Cooperativa sociale Gulliver per i bambini di Rocchetta Vara, così i foodblogger della rete si attivano e si mettono ai fornelli.
Ma non basta, servono fondi: i bambini hanno perso tutto. E’ un susseguirsi di idee e di iniziative, così da un brain storming su facebook nasce l’idea di un banco al mercatino sui Navigli a Milano, domenica 27 novembre.

Le foodblogger venderanno decorazioni natalizie commestibili, non hanno i permessi necessari per vendere alimenti preparati da loro, per cui si adattano e scatenano la loro fantasia: i biscotti saranno palline natalizie o decorazioni da attaccare all’albero.
Andate a trovarle domenica, le riconoscerete dal naso freddo e dal sorriso caldo, sul loro banchetto ci sarà scritto a caratteri cubitali “Un filo per…i bambini di Rocchetta”, che è il filo della solidarietà che ha unito tutte loro, il filo sottile e resistente della speranza che i bambini di Rocchetta possano tornare quanto prima alla normalità.

Chi vi scrive è una di queste foodblogger e vi ringrazia sin d’ora per l’aiuto che potrete dar loro.
Lydia Capasso
http://www.tzatzikiacolazione.blogspot.com/

la prima volte della mousse nel forno

ecco la ricetta della mousse al forno, copywright di cristina soraci:TORTA AL CIOCCOLATO

Ingredienti:

4 uova (scorporare i tuorli dalle chiare)
200 g di cioccolato fondente
200 g di zucchero
100 g di burro
1 cucchiaio abbondante di farina
1 bicchierino di liquore (rum o altro)
zucchero a velo

Sciogliere insieme il burro e il cioccolato fondente, tagliato a pezzi, a bagnomaria. – Frullare i tuorli
con lo zucchero fino a ottenere un miscuglio quasi bianco e spumoso. Aggiungere alle uova con zucchero (sollevando e mai girando)nell’ordine:
– il cioccolato fuso con il burro
– il cucchiaio abbondante di farina
– il bicchierino di liquore
– le chiare d’uovo montate a neve ben sode (assolutamente necessario sollevare e mai girare)

Versare il composto in una teglia con cerniera del diametro di 22 cm., imburrata e cosparsa di farina.
Mettere in forno, precedentemente riscaldato, a 180

Dentro la fabbrica del cioccolato

Qualche giorno fa ho visitato per la prima volta una fabbrica di cioccolato.
Al mio ingresso in fabbrica mi ha avvolto un profumo intenso e un tepore invitante come quello di un camino acceso, poi mi sono innamorata degli ingranaggi di macchine nuovissime che si muovono come personaggi di un cartone animato della Pixar scorrendo, girando, sbattendo, riempiendo, staccando, avvolgendo qualcosa che poi diventa, un cioccolatino, un block fondente da un chilo o un ovetto al latte con dentro una principessa in miniatura. Accanto alle macchine si muovono esseri umani, con camici e cuffie che controllano che tutto funzioni, con l’espressione compunta di un’ostetrica che legge il tracciato di monitoraggio di una partoriente.
Il cioccolatino appena sfornato che mi viene offerto a visita terminata ha un sapore impagabile e del tutto diverso, perché ora ho conosciuto il suo viaggio, e la sua storia.
La fabbrica in questione è stata fondata nel 1913 da Luigi Zàini e dopo 100 anni porta ancora il suo nome. E’ una delle poche aziende familiari dolciarie italiane che ha resistito a guerre, crisi, passaggi generazionali. Gli attuali proprietari,  i fratelli Luigi e Antonella Zàini, tengono fede sia al sogno del nonno che al testamento morale lasciato loro dal papà Vittorio e dallo zio Piero. La loro è una storia avventurosa, ricca di colpi di scena, che ruota attorno a nonna Olga. Un’allure da diva del cinema, quattro figli di cui due non suoi, la scomparsa prematura del marito, non impedì a questa donna straordinaria di condurre fabbrica, famiglia e m&ælig;stranze nei difficili anni della seconda Guerra mondiale. Intuizione e audacia, concretezza e disciplina è quello che traspare dai racconti dei nipoti, un’alchimia di ingredienti che potrebbero oggi essere di ispirazione a molti imprenditori.
Prima di accomiatarmi chiedo ai due fratelli un ricordo d’infanzia, legato alla Fabbrica. Luigi, ad dell’azienda, ha un guizzo negli occhi e senza riserve ammette che il giorno più bello era quello che seguiva la Pasqua, quando da bambini si poteva andare in fabbrica e prendere a martellate le grandi uova con sorpresa, le poche rimaste invendute. Antonella mi regala un’immagine speciale di suo padre: sempre preso dalle sue responsabilità e dai suoi pensieri, divisi tra il lavoro e la passione per la corsa a cavallo (Vittorio Zàini è stato uno dei migliori gentleman rider italiani) è un uomo rigoroso, ma che quando la sera fa il suo rientro a casa rivela, sfilandosi il cappotto, profumo di cioccolato.

 

Raptus/2

Dopo aver messo tra me e il pensiero del topo la seconda tranche delle vacanze estive…  

Quando torno la cucina non ha tracce di passaggio, sono quasi felice, salgo sul soppalco per svuotare la valigia e trovo la seconda casa del topo: in mezzo ai miei vestiti, ricoperti di cacche e pipì fresca. Non salgo sulla sedia a urlare solo perché il soppalco è basso ma piango sommessamente, mi piglia un raptus e butto via un sacco di vestiti, quelli più offesi, per altri faccio un sacco per la tintoria, ribalto tutta la casa, praticamente la bonifico nell’intento di renderla molto inospitale per il topo. Richiamo Raptus, non hanno nessuno da
mandare, impietosisco la centralinista e viene direttamente il padrone, improvvisamente mi sento un caso serio. Augusto, il padrone, non è credibile come ciaparat, piuttosto bellino e benvestito, conversa amabilmente di vini millesimati e letteratura, poi mi spiega che è più difficile prendere un topolino in una casa che una lobby di topi in un’azienda alimentare. L’argomento è interessante, scopro che i topi sono neofobici, abitudinari e conservatori, (penso a certi uomini) cauti e guardinghi a meno che non siano in gruppo o molto grossi. Quindi ho sbagliato a cambiare l’assetto della dispensa, quello non la riconosce e sta sulle sue. Augusto studia la situazione e procede per gradi, è un lavoro che richiede molta pazienza (penso a certe donne). Dopo qualche giorno Augusto decide che il Piano A è fallito, il topo ha snobbato le trappole perché è neofobico, però ha lasciato una traccia: preferendo il cibo vero è entrato in una piccola dispensa aperta, ha fatto un buco nel sacchetto della semola per cous cous e deve averci nuotato perché è piena di cacche, tutto questo nella notte perché la mattina dorme. Si passa così al piano B: incollante. Nel senso che si mettono per terra delle strisce ricoperte di una sostanza appiccicosissima dove il topo dovrebbe passare per andare verso il suo cous cous e rimanere incollato. Muore perché non riesce a staccarsi di lì. Impiego 12 ore ad abituarmi all’idea di svegliarmi di soprassalto col topo incollato che urla come un ossesso e io che devo prenderlo e buttarlo via. Passano due giorni e non succede nulla, deve essere intelligentissimo, cioè fa lo sciopero della fame, snobba couc cous, trappole con esca, caga poco e non si sa dove dorma, io ogni mattina perlustro tutta la casa invano. Appena mi abituo all’idea di trovarlo incollato e di buttarlo via Augusto mi dice che si passa la piano C, però non ha una bella voce quando lo dice. Chiedo come muore il topo nel caso C e mi spiega che è la trappola “classica”, quella con la molla. “Ah benissimo” dico, mi viene in mente quello dei cartoni animati: pezzetto di emmenthal e zacchete, la molla che gli blocca la coda. “No, non la coda”, dice Augusto. Pausa. “La molla gli spacca l’osso del collo” conclude con la voce contratta. “Ma che schifo, ma non è possibile”, e poi, più cinica, “ma urla, ma esce sangue, ma puzza, ma schizza?”.
Dodici ore non mi bastano ad abituarmi all’idea che il grande cagatore muoia in quel modo dannato, così ottengo una deroga al piano C, si prova a prenderlo per fame: sparisce il cous cous così se non vuole morire di fame deve prima o poi entrare nella trappola con l’esca, speriamo che non sia anche anoressico.
Ancora nulla. Ieri prima di andare via Augusto guarda uno dei tubi Innocenti che reggono il soppalco della cucina e nota che mi sono dimenticata di sigillarne uno, mi dice in un soffio: "secondo me è lì". Io non gli dò gran considerazione mentre gli preparo un caffè (ormai sembriamo una vecchia coppia) vedo che traffica su di sopra, conosce la casa meglio di me, ogni volta che viene fruga dappertutto, mi imbarazza un po' quando solleva le lenzuola, mi pare eccessivo quando lancia sul letto giacca e casco, mi lascia perplessa quando si autoinvita a pranzo e parla di calcio con mio figlio. Di sopra ha messo un pezzo di esca che fa capolino dal tubo Innocenti che non ho sigillato, una di quelle esche americane blu che ti chiedi come un topo possa esserne attratto. L’esca sta mezzo dentro e mezzo fuori dal tubo, l’indomani vado a controllare e WOOOW è tutto rosicchiato: Augusto ha ragione, il topo ha messo casa e ufficio lì ed ha rotto il ramadan per disperazione. Lo chiamo e gli dico che è un genio, dall'emozione non parliamo. È un grande momento. Il topo comunque oltre che neofobico ed anoressico è anche orgoglioso e non esce dal tubo. Ha la sua dignità, piuttosto di farsi vedere mezzo atrofizzato, con la nausea e col pelo color esca ha deciso di crepare nel tubo. Così l’ho murato lì. E’ stata una cerimonia solenne: petali di rosa, un pezzo di Emmental, e candeline, ho fatto una specie di preghiera dove ci perdonavamo reciprocamente per i torti subiti e gli chiedevo di restare a proteggere la mia casa, che una casa senza morti non è protetta. Naturalmente Augusto non è stato ammesso alla cerimonia, per certe cose non ci vuole un uomo. Che poi finisce che chiama la neurodeliri.
 

Raptus/1

Il problema è prenderlo, preferibilmente vivo. Ci provo da un mese e ancora nulla. Non dovrebbe essere lungo più di qualche centimetro, coda esclusa.
Il 14 agosto torno a casa dalla prima parte di vacanze (500 chilometri a piedi nel nord della Spagna) pregustando un sonno primordiale nel mio letto avvolto dal silenzio, senza tappi nelle orecchie e senza sveglia alle 5. Invece. La domestica ha dimenticato la finestra del terrazzo aperta, giro con un po’ di apprensione per casa, ma non manca nulla. Piuttosto si è aggiunto qualcuno. Che rosicchia, in dispensa. Incredula da quanto possa essere rumoroso un tarlo apro il cassetto delle tovaglie, che trovo cosparse di pallini neri grandi come capocchie di uno spillo, facciamo due capocchie in una. Certi tovaglioli sono sfilacciati. Cerco di capire come un tarlo possa sia fare la cacca che sfilacciare un tovagliolo, ma prima di visualizzare nella mente il tarlo horribilis un altro tarlo bussa al mio emisfero sinistro: è un topo. Cioè ho un topo. Cioè c’è un topo. Nella mia casa, nel mio cassetto, nella mia tovaglia. Chiudo di scatto il cassetto. Calma e gesso. Non sono una di quelle che salgono sulla sedia e urlano.
“Per certe cose ci vuole un uomo”, diceva mia nonna, così telefono al vicino, ancora in vacanza, che dice di aver chiamato un certo Raptus la volta che gli è entrato un topo in casa. Evidentemente il topo in casa è un must che fa parte del pacchetto loft/periferia industriale/recupero di area dimessa. Raptus ha la segreteria telefonica così quando arriva sera sono ancora seduta davanti al cassetto. Non ho la più pallida idea di che cosa si debba fare e comunque in città è tutto chiuso. Di chiamare ambulanza, pompieri, carabinieri non mi pare il caso. Sono terrorizzata all’idea che quello, finito di mangiare, voglia fare un pisolino con me. A un certo punto devo essere svenuta, per la tensione, la stanchezza, le 32 ore di treno. Il giorno dopo è ferragosto e Raptus sarà al mare anche lui, io parto irresponsabilmente per la seconda parte delle vacanze. Torno dopo una settimana, il topo ha fatto casa nella mia dispensa: camera da letto nel cassetto delle tovaglie, sala da pranzo in mezzo alla pasta, cesso dappertutto, cagare gli piace da impazzire. Io avevo pregato che morisse di indigestione, sono disperata. Chiamo Raptus in lacrime e arriva dopo poco tempo un tizio cattivissimo, tutto vestito di nero con le borchie, faccia da russo, pelle chiarissima, occhi di ghiaccio, capelli a spazzola dritti di gel e due gabbie sottobraccio. Aveva ragione mia nonna, certo che per certe cose ci vuole un uomo, a guardare questo, che tra un po’ dice “lo spiezzo in due”, è come se il topo se ne fosse già andato. Palle.
Mentre lui mette le trappole in posti strategici, girando per casa a caccia di indizi e tirandosela come un detective di CSI, io faccio il lavoro sporco cioè svuotare tutta la dispensa, lavare tutto a mano, disinfettare, rivestire e rimettere a posto, già che ci sono sigillo tutti i buchi rendendo la vecchia dispensa della nonna inaccessibile. Passa la notte e quello non entra nelle trappole neanche per scherzo. Neanche io ci entrerei in quella cosa minacciosissima di ferro a mangiare un parallelepipedo azzurro, cioè l’esca. Però non lascia più segnali, così penso che magari possa avere mangiato il veleno dalle trappole e sia andato a morire da qualche parte. Raptus ha detto che il veleno ha un lento rilascio (penso a certi amori) e siccome è un vasocostrittore dopo qualche giorno il topo muore riducendo il suo volume e non puzzando neanche tanto (penso ancora a certi amori). Sono assolutamente deliziata all’idea del topo cadavere ristretto che puzza poco, l’indomani lo cerco ma non trovo nulla. Al terzo giorno senza segnali decido che è morto, chiedo di togliere le trappole e parto per gli ultimi giorni di vacanza.   continua…

L'importanza del come

Stiamo passeggiando senza meta, la direzione la sceglie Sax, il cane della mia amica Sarita che ho appena incontrato, per caso. Parliamo di lavoro, delle difficoltà che, in particolare io, cosiddetta libera professionista, sto incontrando da due anni a questa parte. I dialoghi fra me e lei sono sempre disanime lucide, e impietose, ma che non dimenticano mai di lasciare socchiuse le porte alle soluzioni. Mi piace parlare con lei, si comincia al buio, ma poi la luce inizia a filtrare da sotto la porta, e ci si lascia con una bella luce negli occhi, e nei pensieri. Questa volta, più che l’aprirsi di uno spiraglio, ho avuto la sensazione di una finestra spalancata dal vento. E’ stato quando Sarita mi ha detto “sai, ora quello che è importante non è più 'il cosa' ma 'il come'. Sax aveva virato per l’Università Statale e si era fermato a sbirciare verso il grande chiostro. Mi sono fermata a guardare il chiostro anche io, e mi sono definitivamente convinta che mio figlio abbia fatto bene ad iscriversi lì, a Storia (cosa farà? non lo sappiamo. come lo farà? lo farà bene). E lo stesso ho pensato per me, qualsiasi cosa farò, qualsiasi, la farò bene. Invito chi è smarrito e spaventato da questo tempo ad uscire letteralmente per strada a incontrare la propria Sarita (per fortuna alberga in tante persone) che suggerisca un punto di forza da cui ripartire. Senza pensare solo più a che cosa si è, a che cosa si è stati, ma concentrandosi su come si è fatto, su come si è in grado di fare.
 

CENSIMENTOUTING

un consiglio: non avventuratevi nella compilazione del censimento on line, la fidata penna bic vi risparmierà un esaurimento nervoso. la fotografia decennale di quel che succede alle nostre vite e nelle nostre case (altro che facebook) verrà elaborata dal prossimo 20 novembre, ultima data di consegna del Censimento, che debitamente compilato va consegnato ad un qualsiasi ufficio postale. Leggo un’interessante ricerca di Irene Soave su Vanity Fair sull’evoluzione del Censimento e riporto parti salienti; già, perché le domande poste agli italiani dal 1861 ad oggi ci rivelano notizie interessanti ancora prima di leggere le risposte. Nel 1861 era normale avere in casa, come convivente, una balia, così come oggi succede con le badanti, altrettanto normale era avere ospiti a pagamento (questione che giocoforza tornerà di moda), dieci anni dopo si interrogano gli italiani sul fatto che sappiano o meno leggere e scrivere (il 78% no, ma chi gli compilò il questionario?) ma soprattutto gli si chiede se sono ciechi, sordi, imbecilli, scemi o mentecatti (tutte equamente considerate infermità mentali). La richiesta di outing prosegue con l’interrogazione sulla propria religione (1911) su quanti figli si è messi al mondo(1931) su quanti bordelli ci siano (1951). Nel 1961 si confessa per la prima volta se si ha la vasca o la doccia, nel 71 i bambini sotto i 10 anni non compaiono più nella categoria “lavoratori” e 10 anni dopo fanno il loro ingresso nel censimento gli immigrati: 210 mila. Nel 91 si autodenunciano i pendolari e dieci anni dopo i precari. La novità di quest’anno è la comparsa delle coppie omosessuali, un nuovo passo verso la civiltà.

LOVE LIKE BUSINESS

st rovistando tra mie scartoffie, chiedendomi come mai chiudere una società, cioè apporre la propria firma ad un foglio poco più che ciclostilato, costi una cifra così spropositata. il mio occhio da pesce lesso, anzi depresso, è ora catturato dalla dicitura della mia licenzianda società: “in accomandita semplice”. fulmine nel mio cervello, mi salta alla mente il suo corrispettivo in amore: uno si prende tutte le responsabilità e l’altro nulla.ci ha messo qualcosa ma pochino. però c’è. la sua variante: accomandita semplice semplice. poi c’è la società in nome collettivo (matrimonio affollato). poi la società di capitali (matrimonio di interesse, solidissimo). poi c’è la società di persone (matrimonio d’amore: attenzione, le persone cambiano). poi c’è la società a responsabilità limitata (matrimonio senza figli). poi la ditta individuale (incorruttibile single). ok, meglio se torno alle mie scartoffie

Strani incontri: ICTUS/2

Mercoledì 13 novembre, 16.35

Porca miseria mi scoccia arrivare in ritardo, eccolo lì
“Buonasera, mi scusi..”
non solo non si è rattrappito, ma sta molto meglio di prima, non più sul punto di scoppiare ma neanche scoppiato, direi che ci ha guadagnato, i capelli un po’ lunghi, la barba pure, ben curata, le dita intrecciate su un bel bastone da passeggiata in montagna, una vistosa tremarella alla mano che contrasta con uno sguardo molto fermo, in attesa, nessun cenno di ripiegamento, nessuna particolare emozione nel vedermi, chissà che vuole?
“Una camomilla, grazie” chiedo, ha già bevuto una coca cola, deve essere lì da un po’.
“La trovo bene, sa?” -non sono cosa da dire agli infartati ma mi esce così, mi guarda un po’ stranito – che cosa mi racconta?”
“Come le dicevo..” –taglia decisamente corto sugli accidenti, gli chiedo del lavoro e scopro che non è in pensione forzata ma che ha fatto causa all’azienda dove lavorava, dalla sorpresa smarrisco il filo del discorso e lo riacchiappo a questo punto:
“…una donna di colore che si occupava di mia madre, io ho perso letteralmente la testa per questa donna..”

La sorpresa mi fa di nuovo perdere il filo, il pensiero corre su tre strade diverse:
1.ma allora non è a pezzi per l’ictus
2.ma allora perchè dice che è depresso?
3.ma io che cosa ci faccio qui?
“…un’estate pazzesca, se non ci hanno arrestato per oltraggio al pudore è stato un miracolo….”
(Ma come e l’ictus? E l’infarto? Di nuovo black out. Che cosa dice adesso?)
“..una ninfomane, alcolizzata, ladra..”
(aaaaaha, ecco, l’ha lasciata)
“…ho fatto la follia di dirlo a mia moglie…”
(aaahhaaa, ecco, la moglie l’ha lasciato e lui si è depresso)
“…sono disperato, non riesco più a trovarla, è la mia unica ragione di vita…”
(ecco, ho trovato la depressione ma ho riperso il resto, starà parlando della moglie).
Gattoni tace. Guarda nel vuoto. Chiedo timidamente:
“E quanto tempo è che non la vede?”
“Chi?” fa in un soffio
“Sua moglie” dico col mento
“Mia moglie la vedo tutte le mattine” dichiara tra lo sbigottito e il seccato, io perdo tutti i fili ed entro in uno stato preconfusionale, lui riattacca a parlare
“…perchè avevo già avuto delle storie ma non gliele ho mai raccontate, adesso mi rende la vita impossibile…”
Sono nel pallone più totale, quando, mettendo assieme i pezzi, capisco che quella che lui vuole non è la moglie bensì la ninfomane alcolizzata ladra lo guardo a bocca aperta. Mi è rimasta solo una domanda senza risposta: “io che cosa ci faccio qui?”
riattacca:
“..il prossimo week end faccio una trasferta a Carugate, ho avuto una segnalazione, vado a vedere se la trovo lì..”
(ecco, adesso mi chiede di accompagnarlo)
“..se la trovo le apro un ristorante bar somalo..”
(ecco, adesso mi chiede di fare l’ufficio stampa al ristorante bar somalo)
“… ma come farò a mantenere due famiglie?”
(ecco, adesso mi chiede un prestito)
“Signor Gattoni io devo scappare, CHE COSA POSSO FARE PER LEI?”
“Ma niente cara – grande risata –  che cosa vuole fare? Mi ha fatto piacere rivederla, tante belle cose e a rivederci”
e così sparisce il Gattoni, ringhiottito dalla città, come la sua primula nera.

MINIME SOSTANZIALI VARIAZIONI

stamattina mio figlio si è alzato più presto del solito. poi mi ha detto ciao! come un buongiorno, da fuori della mia stanza. poi è entrato nella mia stanza si è accoccolato ai piedi del letto e si è messo a chiacchierare del più e del meno. embè? direte voi. è che non sono cose che fa tutti i giorni, a dire il vero sono cose che non fa mai. e non c’è nulla di male. siamo fatti così, poche smancerie. è che registro le variazioni, e tre variazioni nell’arco di qualche minuto sono troppe per ignorarle. non gli ho chiesto nulla di particolare, ascoltavo e rispondevo. poi me l’ha detto e ho capito, quattro parole e il cuore mi si è allargato così. mi ha commosso l’informazione ma soprattutto quel soffio di smarrimento suo, un soffio ma abbastanza forte per andarsi ad accoccolare ai piedi del letto di sua madre. fai buon viaggio steve, sei entrato in molte case stamattina, grazie per essere passato anche di qua