Khaled (Sherwan Haji) è un profugo siriano sbarcato a Helsinki che, vistosi negare la richiesta d’asilo, scappa prima di essere rimpatriato, deciso a ritrovare la sorella e a costruirsi una vita, in pace. Incrocerà sulla sua strada Wikström (Sakari Kuosmanen), un ex venditore di camicie che, lasciata la moglie e vinta una bella sommetta a poker, ha rilevato un ristorante molto sgarrupato, personale compreso, intenzionato a modificarne l’aspetto e il menu e a rilanciarlo… Riecco finalmente Aki Kaurismäki, sei anni dopo Miracolo a Le Havre, rieccolo con la storia, radicata nei problemi della contemporaneità, di due persone perdenti, infinitamente umane, che entrano in contatto e provano a concretizzare i loro sogni, semplici e ordinari, oltre le ingiustizie della politica e le intolleranze, in nome di quella speranza che alla fine vince e capovolge le cose. I personaggi – dai protagonisti a quelli più secondari -, gli ambienti, le atmosfere sono quelli abituali del regista finlandese e così i toni, stralunati, surreali e lievi, malinconici ma divertenti e luminosi, chi conosce e ama Aki Kaurismäki non perda tempo e si accomodi, e così tutti gli altri.