Cara Simona,
volevo dirti che il tuo (vostro) giornale è davvero un esempio di fantasia: per come è stampato, per come è scritto e pensato. Una specie di scatola a sorpresa: apri un lato, poi un altro e un altro ancora. Non ho mai avuto esperienze professionali di questo tipo (con detenuti o detenute, voglio dire) e però credo che il primo approccio potrebbe riassumersi con le parole di Lina Sotis: “non ero preparata”. Ecco: anche io non mi sentirei preparato. Perché prima delle sbarre ci sono i pregiudizi, i condizionamenti e un sacco di altre cose che esistono e resistono anche se leggi tutti i giorni Repubblica, Il Fatto, Il Corriere e Il Manifesto. Insomma: siamo come siamo. Ma leggere di ragazze che in carcere parlano di moda con la collezione “San Vittore”, fa tenerezza e avvicina, rompe quel diaframma che c’é tra “dentro e fuori”. E poi ci sono gli occhi. Quelli emozionano e dicono molto di tutti noi. Qualche anno fa un fotografo fece un libro straordinario: fotografò gli occhi dei superstiti della strage nazista di Marzabotto: gente anziana, settanta, ottant’anni. Occhi di chi aveva visto in faccia la strage, l’aveva impressa nelle memoria e – per l’appunto – negli occhi. E quelle facce, quegli occhi, dicevano tutto, molto più’ di un racconto, molto più’ di un film o di un documentario. Erano gli occhi di chi sapeva tutto. Ecco, mi sono fermato a guardare gli occhi della copertina del giornale e mi sono ricordato di quel libro. Storie diverse, naturalmente. Eppure quegli occhi raccontano storie che vanno oltre la “galera”: quella di Francesca emiliana doc, di Mariangela che sogna l’Andalusia e di Patricia che spiega come non esistano occhi senza luce, ma persone che non vogliono uscire dall’oscurità. Grazie, è davvero un bel regalo.
Giancarlo Felizian