Archivio dell'autore: Danuta Katarzyna Sikorska

I desideri delle donne

Con il passare degli anni, manteniamo una scala dei desideri. Oggi scrivo dei desideri di quando eravamo bambine e pensavamo di essere onnipotenti. Tutti, specialmente noi donne, abbiamo avuto un sogno, e perché non continuare, non lo stesso, un altro, però, sempre un desiderio. Molte di noi non sanno che cosa vogliono nella vita. Vogliamo diventare, non si sa bene che cosa. La vita, a volte, non va come l’abbiamo progettata. Importante è non perdere la capacità di sognare a 5, 10, 20 o 50 anni, e a tutte le età. E, magari, prima di dire: non è per me, provare a realizzarli.

Le donne da piccole vogliono diventare cantanti, attrici, giornaliste o modelle, ai tempi della Barbi, ma io ringrazio il cielo di non avere avuto una mia Barbi. Io ho, nel percorso della mia vita, desiderato un po’ di tutto. A 8 anni volevo diventare una cantante però la persona che dirigeva il coro della chiesa mi ha pregato di non tornare. Ho provato un grandissimo dolore, ma davvero, dentro di me non c’era la voce. Poi, ho voluto diventare maestra, insegnante, ballerina. I miei desideri cambiavano ogni volta che conoscevo qualcuno che faceva un mestiere per me interessante, pensavo: ecco è questo che voglio fare da grande.

Poi, a 15 anni, ho deciso che prima passavo la maturità, prima potevo pensare a cosa fare. E cosi dopo 5 anni di liceo con specializzazione in medicina infermieristica mi sono diplomata, neanche male. Per scherzo ho poi fatto un test per entrare all’Università di Tecnologia di Koszalin (che è poi diventata Politecnico) e cosi mi sono laureata in ingegneria meccanica: infermiera di macchine? Tutto un po’ fuori dagli schemi. Quindi mi sarebbe piaciuto essere veterinaria. E poi … non si sapeva come sarebbe andata a finire.

Penso che la vita sia fatta per imparare. A nessuno piacciono i cambiamenti o imparare in fretta e trovarsi in un momento di insicurezza. Se siamo insicuri e isolati, abbiamo chiuso. Uno dice: hai sbagliato, è naturale che tu sia qui. E da quel momento il nostro tempo si ferma, però, fuori, la vita corre e noi stiamo con la paura di ogni giorno che passa senza di noi, e con la paura di come si tornerà fuori. Voi che siete fuori leggendo queste parole dite: sì, però ha sbagliato, deve pagare. Io ho la certezza che il giorno dell’arresto entriamo nella macchina del tempo e ne usciamo il giorno di fine pena.

E voi pensate di entrare nella macchina del tempo per 364 giorni all’anno e non sapete quando finirà, come vi sentite? Paura!!!

macchina del tempoLa macchina del tempo

Noi qui dentro abbiamo il tempo per pensare, per prendere le decisioni e provare ancora una volta a rispettare noi stesse e capire i nostri sogni da bambini. E così proviamo a fare cose più grandi dei nostri reati. Ho tentato di fare delle interviste sul tema dei desideri, però ho sbagliato; in questo posto abbiamo paura dei desideri o, meglio abbiamo paura di parlarne. Sono riuscita solo a intervistare due persone, e ogni volta mi venivano le lacrime agli occhi.

Intervista a Donna di 35 anni:

Com’è il tuo carattere?

Sono molto timida, solare, sono anche troppo sincera, non saprei come definirmi. Sopporto tutto fino a un certo punto.

E poi esplodi come una bomba?

Oh sì, proprio un bel caratterino.

Questo lo mettiamo nei difetti, che ne dici?

Sì, come ti ho detto, quando mi attaccano mi difendo con facilità.

Forse non sai prendere la vita con ironia e sarcasmo?

No (ride forte).

L’ultima volta che hai pianto?

Eh no, non qui. (Guarda il cielo come se contasse le nuvole). Si ricordo, è stato quando i carabinieri si sono presentati a casa mia, e ho dovuto lasciare i miei bambini. (Ha le lacrime agli occhi e anch’io mi commuovo).

Stiamo in silenzio, ci guardiamo e scoppiamo a ridere.

Che mestiere sognavi di fare?

Io volevo fare la pediatra, crescendo ho provato a diventare parrucchiera, ma mi mancava la determinazione e anche l’appoggio di altre persone. Sai com’è, ero molto giovane e nessuno mi ha preso la mano e mi ha detto: vai!

E il fuoco si è spento come nei film?

Oh no, l’ho messo da parte, ho tante cose nel cassetto. Finita la carcerazione devo cominciare da zero, lo sai, ho due figli e così i miei desideri per il momento aspettano.

Nel cassonetto?

No, no ci proverò davvero!

Intervista a Donna di 49 anni

Com’è il tuo carattere?

Sono molto solare, sono allegra.

Difetti

Se vedo che qualcosa non va, mi arrabbio facilmente.

L’ultima volta che hai pianto?

È stato quando ho visto skype, la mia prima uscita in permesso premio e ho potuto vedere la mia famiglia su internet.

Ancora vedo le lacrime…

Sì, però queste sono di felicità.

E allora che mi dici dei tuoi desideri?

Ora dico a me stessa che vado, vado e nessuno mi ferma (ride).

Come vai? Dove? Prima dimmi il tuo desiderio, dimmelo per favore (e congiungo le mani in preghiera).

Stare con le famiglie dei miei figli, coi miei nipoti, provo dimenticare il carcere e a recuperare il tempo. Comincio con forza a rispolverare i miei desideri.

Cioè?

Apro una pasticceria, mio padre aveva sempre desiderato che diventassi pasticcera.

Oh che dolce pensiero!

Sì cosi posso stare vicina ai miei famigliari.

Grazie, prima di finire e scappare, mangiamo, poi tu fai il caffelatte alla tua maniera?

Chiaro però io sono l’ultima, e con me finisci Dana.

Scoppiamo a ridere e Chanel va a preparare il caffè. Non lo bevo spesso però quando lo prepara Chanel, il caffè di Chanel, io ci sto.

È il 17.07.2014 ore 07:32 di mattina, mi sto preparando per lo spettacolo e una ragazza (Donna di 35 anni), dello stesso viaggio nel tempo, sta preparando i mei capelli. Aveva il desiderio di diventare parrucchiera. E in verità, l’effetto finale è stato molto buono. Siamo felici in due, lei perché ha fatto il lavoro, io perché sono piaciuta a tutti. Per un momento ho pensato che la sto aiutando a non smettere di sognare. Hmm… e io che cosa faccio, ho cambiato, senza rendermene conto, il mio desiderio, sto sognando di fare l’attrice sulla scena? Tutto è andato bene. Cosa succede a noi donne, cambiamo sempre desiderio. È sempre il momento giusto per non smettere di sognare però e io ci provo a sognare.

Dedico questo articolo a tutte le Ragazze che vedo ogni giorno nella Macchina del tempo di San Vittore. E a quelle che vedo ogni giorno, ragazze, donne, mamme pronte a sacrificarsi per ricominciare. Tutte così diverse, diversamente belle, giochiamo però siamo serie, stanche, picchiate in terapia, c’è chi ce la fa! Noi siamo solo ragazze che vogliono andare a casa, quelle che non si faranno più fregare, ragazze che ballano, cantano, ribelli, che sbagliano, invidiose, lasciate o che lasciano, alcune di noi sono ragazze che amano ragazze. Non è facile essere ragazze che sanno quello che vogliono, ragazze pronte a tutto per avere ancora la possibilità di ricominciare. Siamo tanto diverse, siamo tanto unite solo per dare realtà ai nostri sogni di bambine.

In un posto come questo, il desiderio mette paura. Sto qua da due anni e tre mesi e sono diventata più forte. Passo nella vita senza amici e non li cerco, però stare insieme a loro è diverso, quanto dura non lo so, non so che giorno finirà e come. Siamo cieche nel nostro dolore e non vediamo l’altro più piccolo. Però cosi va bene per tutti. E per qualcuno la fine c’è e per qualcun altro dov’è la fine? DOVE?

Dana

Dalla macchina del tempo
San Vittore, Milano
06 agosto 2014

 

Italia/Polonia, Polonia/Italia: la cucina che unisce

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Non è una partita di calcio, ma una conversazione fra Cristina, di origine napoletana/italiana ed io, Dana, polacca/polacca.

  • Per te, Cristina, cosa vuol dire cucinare?
  • Mi piace mangiare bene, per me è un rituale. E, in un posto come questo, cucinare aiuta a trasportare la mia mente oltre le sbarre e ai tempi prima dell’arresto. Sai, sedere a tavola con la famiglia è la cosa più bella che esista al mondo. Mettere il cibo in tavola è come progettare una storia, portare pace e amore. Nella mia famiglia i discorsi più importanti si fanno a tavola.
  • Ah sì? In Polonia non si usa.
  • Come no, non si può parlare?
  • Oh no, signora, nella mia Polonia al momento di mangiare non si parla, c’è l’obbligo di tacere.

(Cristina ride)

  • Io sono napoletana/italiana noi del sud siamo diversi da voi del nord, al sud si parla troppo. Noi stiamo in tavola giornate intere.
  • È come aspettare il momento di mangiare per parlare delle cose di famiglia.

(ridiamo)

  • Questo durante la settimana e poi la domenica e nelle feste cosa fate?
  • Sì, aspettiamo la domenica per invitare tutti i figli con le famiglie, i nipoti, le sorelle e questo riempie la casa di tante persone.
  • O mamma mia, così tante, a che ora allora si deve svegliare la cuoca?
  • Io stessa mi ricordo che la domenica mi dovevo svegliavo alle 7:00 per preparare il ragù.
  • Ferma, aspetta il ragù, che cos’è?
  • È un tipico piatto napoletano: salsa di pomodoro con involtini di carne.
  • E come si chiamano in napoletano gli involtini?
  • In dialetto si chiamano braciole.
  • A me questo nome non dice niente, cosa sono queste braciole, sono buone?

(Cristina ride)

  • Sono fette di carne di manzo cui si aggiunge prezzemolo, aglio, pepe, e formaggio grattugiato. Dopo di che la fetta si arrotola e si chiude con uno stuzzicadenti.
  • Ecco questa ricetta è per la domenica, e per gli altri giorni della settimana?
  • Non lo so Dana, ogni settimana è diversa.
  • Ok, dammi solo altre sei ricette e poi ti lascio cucinare.
  • Hmm… ok.

Lunedì: lenticchie

Martedì: pasta e patate

Mercoledì: spaghetti al pomodoro

Govedì :pasta con zucchine

Venerdì: lenticchie

Sabato: pizza

O se no, si può scambiare con pasta e gamberetti oppure con la zuppa di pesce o, a volte, la caprese.

  • O mamma mia, Cristina basta, stai zitta, ti prego ho una fame, che fame, e poverina questa cuoca che deve cucinare, quante ore sta in piedi davanti ai fornelli?
  • Lo so Dana, ogni settimana è diversa (ride), e queste sono ricette veloci, nel giorno di festa lavorano molte mani.

Quando ho fatto questa intervista a Cristina, ho visto che mentre mi raccontava le ricette le brillavano gli occhi. Non potevo non fare questa domanda.

  • Da dove prendi tanta forza?
  • È l’amore, tanto amore per la mia famiglia. Ho sei figli, ormai grandi, con tanti gusti diversi. La mia famiglia comprende figli, nuore, generi, quindici nipoti, (non si sa perché chiude mani in preghiera).
  • Spero che ci sia presto una domenica, che tu, Cristina, possa cucinare di nuovo per loro.

Stiamo con un po’ in silenzio.

  • Qui, in carcere ci fu un giorno, o meglio un momento che ti ho sentito proprio volare oltre le sbarre, è stato grazie alla cucina?
  • Sì è un progetto che mi dà la possibilità di volare cucinando grazie al volontariato e alle persone del progetto Casina e Momento conviviale.
  • Si però ci voleva una napoletana e anche una siciliana.
  • Eravamo nel 2013 in inverno, Lori stava per uscire e volevamo festeggiare.
  • Ti ricordi cosa avete cucinato?
  • Certo, la pizza di scarola, le salsicce, i friarielli e la siciliana ha fatto gli arancini.
  • Mamma mia, indimenticabile davvero.

Educazione siberiana

educazione siberiana

La famiglia è fatta da molte persone, di molte situazioni vissute insieme. Molte volte le persone sono come pezzi di un puzzle solo con il cognome, si vedono e conoscono gli altri membri solo in occasione di grandi eventi come matrimoni o funerali. Ogni componente della famiglia crea il suo ramo dell’albero, senza sapere però, dove stava piantato, è difficile.

Perché: dove vado se non so da dove vengo?

 Mia nonna paterna era ucraina e dei suoi padri non si sa niente, non sapeva leggere e scrivere, però era molto divertente e rispettava le diversità del mondo. Di mio nonno paterno, suo marito, non ricordo nulla, è morto dopo cinque mesi dalla mia nascita; mi hanno detto che era spiritoso e che parlava quattro lingue. Da giovane cercava non si sa cosa, viaggiando nel mondo. Era nato nel febbraio 1888 e nel 1905 stava già in America; chi sa cosa cercava! Si chiamava Govanni (Jan). Quando era in arrivo un nipote diceva “guai a voi se lo chiamate come me” a suo dire, ne bastava uno con questo nome. Di lui non so molto però quanto ero incinta del mio secondo figlio maschio l’ho chiamato Yassine che vuole dire Jan (tutti lo chiamano Jasko). Dei miei nonni materni si sapeva tutto perché abitavano abbastanza vicino.

Io non ho dato grande importanza alle mie origini. La vita è volata e io a quarant’anni ho cominciato a pormi domande. Perché non si sa niente dei bisnonni paterni, e solo poche cose dei nonni paterni. Non si sa niente dal tempo prima di arrivare in Polonia e come la vita di mio padre sia iniziata a nove anni, il giorno del suo arrivo in Polonia. Guardo i miei figli crescere e mi faccio tante domande, vorrei esplorare le strade alle mie spalle e ripercorrere a ritroso quelle radici che mi tengono in piedi con le spalle dritte: chi mi ha fatto così come sono e mi ha condotta fino a qui, e mi fa scoprire cosa mi succede, o mi sono ritrovata, o meglio la vita mi ha spinto in prima linea in cima a questo albero genealogico disorientata e senza nessuno indicazione.

Perché solo le nostre origini ci dicono chi siamo, ci danno gli strumenti per capire se, come, per chi e da cosa vogliamo affrancarci. E aiutano a scegliere la direzione e danno segnali importanti per noi e per chi verrà dopo.   Mio padre ha sessantasette anni ed è tempo che risponda a delle domande:

– il nonno ha fatto la guerra?

– e con chi l’ha fatta?

– perché la zia dai begli occhi verdi non si è più sposata?

– che tipo di mestiere ha fatto la nostra famiglia?

– e che ninna nanna cantavano ai bambini?

Por questo ci vuole un viaggio in treno. Quello con padre, figlia e nipote (il mio primo figlio che oggi ha 16 anni), un viaggio per noi stessi, cercando le risposte per ricominciare. Per ripercorrere la nostra vita e condividere i nostri pensieri. Quanti paesaggi vanno scorrendo di fronte ai nostri occhi, ci aiutano a capire che il tempo passa e a farci rendere conto che non è dalla nostra parte. Come ho detto, un viaggio di questo tipo è meglio farlo in treno, perché dal treno non è possibile uscire fisicamente per evitare le risposte, è un posto, dove la domanda richiede la risposta. In questi anni ho scoperto che sto ancora crescendo e che la mia famiglia ha una grande storia molto interessante. A ogni chilometro apprendo un pochino di biografia, prendiamo appunti, ricostruiamo attraverso i fatti, le fotografie, i racconti, i dubbi le lettere scritte, quelle spedite e non, le parole dette e quelle non dette, tutto questo insieme conferisce una nuova immagine della nostra famiglia. Perché la vita e l’amore finiscono se non sono coltivati, siamo ancora in tempo a capire, anche cosa non si è saputo scegliere, o quello che la vita ha regalato. Sono sorpresa di quanto sono cambiata, anche come è differente il mio punto di vista. Può essere che questo sia capitato quando mi trovato in quel tempo di mezzo, accompagnata nel mio viaggio da residenti sopra, sotto e accanto a me. E la vita è un’esperienza bellissima: oggi mi capita di reagire in modo completamente diverso da quello di un tempo, e mi piacciono i cambiamenti, viva la vita, viva la famiglia.

Ormai con gli anni voglio diventare, per mio padre, più amica che buona figlia.

 Sto pianificando un viaggio con la transiberiana dalla Polonia a Vladivostok (città siberiana). Da lì ha inizio la storia della mia famiglia.

Sì, ho preso la decisione di costruire così un albero con le sue radici, e insieme, tre generazioni della mia famiglia, piantiamo un albero nella terra dei miei nonni.

Se salgo su questo treno, grazie a mia nonna paterna che mi ha insegnato la lezione che la fame viene e va con dignità e diversamente, che la vita, una volta perduta, non ritorna più.

Non so a che cosa mi dedico, io ho dentro, nel mio sangue, “l’andare via il più lontano possibile”, però con gli anni ho capito e spero che i miei figli impareranno “a rimanere.”

La consapevolezza mi rende responsable e libera.

Dana

figlia di un Padre

dall’educazione siberiana.

 

 

SHHH

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A me è capitato di esserci qua

come rovesciata all’incontrario.

Dove? Dove mai sono finita

Quanto silenzio ovunque

Quanto tempo libero per una solo

l’aspetto e dico

Ora o mai. Il vento scuote o non scuote

Non si sa e perché?

Il vento è proprio ciò che non esiste qua

Il sole è il sole, sale o no

E che cosa cambia se sale.

Però

non ha bisogno di vento, il sole

non ha bisogno di movimento

non ha bisogno

Shhh…

Quanto silenzio qui

Quanto vuoto qui

E prima di trovarmi qui io non

ricordo neppure come fosse

il non esserci

Shhh…

Si sente una vita e non è una

mosca persa qui.

 

9/05/2014 ore 10.30

La mia guida di Milano

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Buongiorno Italia,

Buongiorno Milano,

Siamo in centro, in Piazza del Duomo, di fronte alla Cattedrale.

Alla nostra sinistra la Galleria; tutto è così bello, dalla piazza si dipartono tante vie che conducono ad altre vie, altre piazze fino a una piazzetta dove sorge un edificio a forma di stella con sei raggi, un edificio a mo’ di ragno a sei zampe che si affondono nel centro di una città così bella, anzi compongono una fitta ragnatela intorno al suo corpo che comprende tutto, cose e persone, ma restiamo per il momento all’esterno, l’edificio è tutto colorato in rosso, al centro un grande portone che vi invita a entrare, non abbiate paura, non è un posto brutto, l’architettura è molto bella e le persone? Loro sono ringhiusi. Qualcuno entra senza esitazioni e fissa gli occhi delle persone dentro, occhi fiduciosi, occhi che si affidano ai visitatori. Gli ospiti esterni capiscono che gli ospiti interni sono vivi e hanno voglia di recuperare e ad ogni incontro con i volontari, così si chiamano questi ospiti esterni, io credo di poterlo fare.

E allora io penso: spezzata una carriera, l’amore, credo nel segreto portato nella tomba, credo che devo solo ripetermelo continuamente, come una preghiera.

Grazie al volontariato di San Vittore, Milano, Piazza Filangieri 2.

Sorridi

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Guardate i felici

Sentite di lontano come ridono

E di che colore sono?

E in che lingua parlano?

E quelle loro cerimonie di ogni giorno

E quei doveri inventati per ciascuno

Sono loro qualunque tra il popolo

Perché?

E accaduto proprio a questi

E non altri

Ormai

E fatto, è lo stesso

Orgogliosi di non esistere

Piangono solo nel buio e nel silenzio

Non vincono

Non pareggiano

Non vanno via

Non cadono più, sono già sul pavimento

Ognuno ha un piano che non funzionerà

Sanno aspettare e aspettano

E sono convinti che tutto questo è come fatto

Contro l’umanità

E che umanità?

E normale, è utile per l’umanità

E sicuro per tutti

Sicuro che è serio

Io sono una di loro mi chiamo BB3212(…)

E una cosa che mi viene in mente è la

Filosofia di Murphy: sorridi….

Sorridi… domani sarà peggio.

Sorridi

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Guardate i felici

Sentite di lontano come ridono

E di che colore sono?

E in che lingua parlano?

E quelle loro cerimonie di ogni giorno

E quei doveri inventati per ciascuno

Sono loro qualunque tra il popolo

Perché?

E accaduto proprio a questi

E non altri

Ormai

E fatto, è lo stesso

Orgogliosi di non esistere

Piangono solo nel buio e nel silenzio

Non vincono

Non pareggiano

Non vanno via

Non cadono più, sono già sul pavimento

Ognuno ha un piano che non funzionerà

Sanno aspettare e aspettano

E sono convinti che tutto questo è come fatto

Contro l’umanità

E che umanità?

E normale, è utile per l’umanità

E sicuro per tutti

Sicuro che è serio

Io sono una di loro mi chiamo BB3212(…)

E una cosa che mi viene in mente è la

Filosofia di Murphy: sorridi….

Sorridi… domani sarà peggio.

Hotel San Vittore 2

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Sento il suono delle chiavi. Sento: “Chiudi, chiudi bene tutto.

Penso, sì, chiudi bene, chiudi anche il blindo.

Così non si vedono:

tre letti

sei armadi

1 finestra

due stanze: una stanza e una cucina con turca, non ho detto turca, la donna delle pulizie, ma, sai, la turca, turca…

e tutto questo in soli 9 m2..

Ma io non sto male perché domani mattina avrò scontato un giorno di più,

solo ho bisogno di passare la notte e sentire l’odore del caffè.

E mi viene il sorriso perché se si sconfiggono i pensieri e gli incubi della notte e si è più maturi, bravi, forse oggi è il giorno per andare avanti o farla finita, dipende da quanto si è forti.

 

La luna di Dina

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Siamo nel carcere di San Vittore dove se la luna è piena o no non importa a nessuno, o meglio, non importava fino al giorno in cui è entrata Dina. Allora si che che c’è stata la differenza per noi che frequentiamo il corso di parrucchiera la luna ha effetto su tutto il mondo che vive perché, come il resto, anche i capelli sono vivi: lei con i capelli ci parla e ci parla davvero e li tratta con amore, come un giardiniere le sue piante.

Dina è una parrucchiera che ha fatto impazzire il mondo della moda negli anni ‘70 e ‘80. Da trent’anni o più promuove la sua linea di prodotti per la cura della bellezza di tutti tipi di capelli e da quattro mesi è una dei volontari della Casa Circondariale di San Vittore a Milano, dal mio punto di vista lei è più dentro che fuori. Il corso che lei tiene qui è molto semplice, si chiama taglio della salute e consiste nel curare e rendere i capelli belli e sani. Quando si dedica al suo mestiere è come guardare un’opera d’arte in fieri o come dipingere un quadro; le forbici hanno un suono diverso, noi ridiamo perché le stesse forbici con noi non cantano come con lei e lei ride con noi e ci racconta le storie della sua vita ricca di esperienze mentre con le forbici mette a posto il taglio delle sue modelle cioè di noi. Noi stiamo imparando e le facciamo molte domande lei risponde con grande generosità a tutte e ci dice che prendere i capelli e tagliarli è facile però bisogna sapergli dare vita, è come infondere vita a una persona. Per esempio i miei capelli erano prima grassi e crespi e con le doppie punte, incorniciavano, a detta della mia amica Mariangela, il mio faccione. Poi è intervenuta la Dina con il suo taglio della salute, gli ha dato forma e i capelli da grassi, secchi e sottili sono diventati morbidi e setosi, il taglio mi ha migliorato anche il viso. Adesso li posso lavare ogni due giorni e li devo tagliare ogni due mesi, sempre con la luna crescente.

Mi trovo talmente bene con lei che li tagliarei ogni martedì, dalle 9.15 alle 11.15, i suoi orari. E bello sapere che anche in questo posto c’è qualcuno che si prende cura della nostra persona.

Cancelliamo le frontiere

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Sono nata e cresciuta nel Nord Europa. Il giorno successivo all’apertura delle frontiere ho iniziato il mio vagabondaggio. Nell’anno 1998, a dicembre, ho visitato l’Olanda, la Germania, le città di Stoccarda, Copenhagen, Stoccolma; come si dice: “L’appetito vien mangiando”. E sono arrivata nel sud, in Spagna, da lì ho sognato l’Africa, ho visitato Ceuta, piccola città spagnola in territorio africano, però la vera Africa era oltre la frontiera. Nell’anno 2008 ho avuto la possibilità di visitare il Marocco. Perché una polacca non va in Egitto o in Tunisia che sono le nostre mete turistiche preferite? Perché va in Marocco? Ecco la spiegazione: mio marito è marocchino e lui è il regalo più bello della mia vita. I miei vagabondaggi mi hanno portato a un matrimonio misto, come molti in Europa, copie completamente diverse: diverso colore, diversa cultura, diversa religione, diversa cucina. Oggi scriverò del cibo, può essere anche un argomento noioso, valutate voi. Un piccolo confronto: piatto nordico, superficie piatta rotonda, solo negli ultimi tempi diventa quadrato. Un piatto per ogni porzione, posate e condimenti separati. Piatto marocchino arabo: tutto insieme, pane a pezzi, si mangia con la mano destra e io, grazie a Dio, non sono mancina.

Spedizione particolare per conoscere la famiglia di mio marito. Dopo il lungo viaggio e le prime presentazioni, arriva il momento di sedersi a tavola, o meglio dire a tavolino, perché è alto 40 cm, ha il diametro di 1 m e al centro c’è un piatto rotondo di terracotta smaltata dal diametro di 25 cm, con un coperchio a forma di cono e un buchino a un terzo dell’altezza. L’ho chiamato antenna satellitare, il nome vero è tajine; il cibo è una sorpresa, non si vede, si sente solo il profumo. Quando siamo tutti seduti, Fatima, la mamma di mio marito, alza il cono e svela il piatto caldo, il profumo del cibo riempie la stanza; tutti con un pezzo di pane cominciano a mangiare, io sono preoccupata, sperduta, guardo intorno a me, cerco le posate che però non ci sono, mio marito non c’è, io sono nervosa; l’espressione della mia faccia è così evidente che una delle sorelle di mio marito si alza, mi presenta una forchetta, mi sorride e mi invita a mangiare. Questo è stato il primo assaggio di cultura marocchina. Ho dovuto fare un grande sforzo, perché una cosa è dividere il cibo con la persona che ami, anche se mangia con le mani, non è male, anzi è dolce, altra cosa è mangiare da un piatto con dieci persone che si vedono per la prima volta. Da qualche anno, ho risolto il problema a mio modo: in casa della mia famiglia mangio con loro, ma con la forchetta, intingo il pezzo di pane nel tajine e riesco così a gustare con appetito la cucina araba. Come mi arrangio quando mi invitano fuori casa? Anche qui ho trovato una soluzione, ho comprato un piccolo tajine di 15 centimetri di diametro sul quale metto il cibo adducendo come scusa una mia allergia e nessuno si offende, tutti comprendono. Però la verità è un’altra, io sono polacca educata con le posate, bicchieri diversi per ogni portata e non uno solo per tutte. È molto forte il divario di cultura e di abitudini, però, è questo il bello: conoscere, toccare, gustare gli altri paesi e non aver paura di essere diversi, il mondo ci accoglie e noi, accettando il suo invito, facciamo un gesto positivo, cancelliamo le frontiere e rendiamo il mondo bello e assimilabile.

Dana

I libri mi hanno fatto volare

i libri sanno volare

Il corso d’arte comincia come tutti gli altri; bisogna fare la domandina per poter partecipare poi arriva il giorno del primo incontro, un mercoledì, con Antonella insegnante d’arte che mi ha dato libro con una copertina rossa e delle forbici, la colla e mi ha detto: “Vai, fai qualcosa”. Mi ha guardato negli occhi, ha sorriso e poi è andata a parlare con le altre ragazze; mi ha lasciato sola a fare una cosa impossibile per una polacca: distruggere un libro, perché? Non posso! Tutta la vita mi hanno detto i professori in Polonia che i libri sono la cosa più buona che si lascia dopo di noi e io vado a distruggerla. Hmmm. Voi non sapete che io sono una persona che in posto come il carcere ho un libro di poesie di Wisława Szymborska, la poetessa polacca che ha preso il premio Nobel nel 1996, regalato dalla volontaria Angela ed è come se distruggessi quel libro e, pensate, non un solo ma tanti.

Il primo di  ottobre scorso c’è stata una mostra intitolata: “I libri sanno volare”, una mostra di libri-opere d’arte fatti da artisti e da noi detenute, aperta alla gente di Milano, nella sede della camera del lavoro, una sede importante. Non sapevo di aver fatto delle opere d’arte, ma tutti mi facevano i complimenti. In questo caso i libri mi hanno davvero fatto volare, fuori dal carcere. Grazie della possibilità. Dana

Hotel San Vittore

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12/05/2012 ore 11.30  Vorrei un albergo piccolo e tranquillo, non ho detto che vorrei un albergo in una posizione centrale, perché loro non mi hanno detto: “Ci dispiace, siamo al completo.”

E questo hotel non mi piace.

  • La stanza è troppo piccola
  • Non ti portano su il bagaglio
  • Non ti danno la chiave
  • Il rubinetto sgocciola
  • Non c’è acqua calda
  • Il lavandino è otturato
  • I termosifoni non scaldano
  • La lampadina è bruciata
  • In camera mia il telefono non funziona
  • Nella mia stanza manca la luce
  • Nella mia stanza ci sono altre persone che non conosco
  • Nella mia stanza manca l’aria.

Però è possibile

  • Avere la colazione in camera
  • C’è un portiere di notte di giorno

 

  • Chiamano un taxi, però quando vogliono loro.

 

“C’è posta per me?”

Risposta: “Non c’è.”

Sto in questo hotel da 511 giorni e non so, esattamente, quanto mi fermerò. Nessuna di noi lo sa.

Per avere qualsiasi cosa devo fare la “domandina” e io che devo scrivere in italiano ho bisogno di un dizionario quindi: “Io sottoscritta Dana chiede di poter usare un dizionario italiano-polacco marca Vallardi, regalo del professore della scuola, grazie, è usato.”.

Dana