Ancora mi dibatto tra i due sentimenti: ieri sera sono stato a una “vernice” dove una carissima amica d’infanzia esponeva una sua opera, ospite della Personale di un’altra artista. Ormai ci si vede davvero di rado, lei abita a New York, si è sposata, ha due figli, e soprattutto sono sfumati gli anni in cui si condividevano le estati e gli inverni nella stessa località turistica in montagna. Rivedersi è sempre bello, anzi, proprio un piacere, e ancor di più constatare quante cose interessanti abbiamo fatto nelle nostre vite e come la sua creatività riesca ad esprimersi in un’istallazione davvero diversa e di gran gusto. Complimenti a parte, ritrovandola in compagnia dei figli e dei nipoti adolescenti che non conoscevo, sono stato presentato: “ Questo è Andrea, un mio carissimo amico” e poi, rivolta a me “ anzi, il mio migliore amico che speravo diventasse il mio fidanzato e invece…”. Sono gay da quando ho memoria, e nessuno ha mai avuto dubbi in merito, ma sentirmi dire una cosa del genere mi ha teso un tranello psicologico. Da un lato ho provato Orgoglio all’idea di aver ispirato quel sentimento e una tale speranza in una donna che considero eccezionale sotto molti punti di vista, dall’altro mi sono accorto di come in me e in lei sia presente una sorta di pregiudizio, vissuto in modalità opposte. Il suo “ e invece…” potrebbe essere letto come un leggero pregiudizio nei confronti dei gay di una donna che si è sentita in qualche modo rifiutata. Da parte mia, e questo mi ha sorpreso, nonostante la mia tranquillità sentimentale, l’accettazione come individuo, la totale certezza della mia natura, quella frase mi ha fatto scoprire come il pregiudizio sociale che in qualche modo è stato passato alla mia psiche dall’educazione, dalla religione, dagli altri, sia ancora lì, pronto a farsi vivo, infastidendomi profondamente. Riusciremo mai a liberarci del tutto di quel senso di inadeguatezza che, più o meno nascosto, ci portiamo dietro per il solo fatto di innamorarci e amare un nostro omologo?