Archivio dell'autore: Redazione Quartieri Tranquilli

Breve storia del pane/1

Il tipo di pane più antico a noi italiani ricorda la piadina romagnola: era infatti un impasto di acqua e farina, cotto su pietre ben riscaldate.
Il passo successivo fu chiudere la pietra rovente dentro un vaso di coccio (il forno indiano tandoori ne è l'erede diretto) oppure cuocere la pasta dentro una buca rivestita di pietra riscaldata col fuoco dentro, che raggiunta la giusta temperatura, veniva spento. Si toglieva la cenere, si collocava il pane e si chiudeva la buca, mentre il pane cuoceva nel calore così ottenuto (chi facesse un viaggio in Armenia, scoprirebbe che il tipico pane armeno è ancora oggi cotto in una buca nel terreno, ma viene letteralmente sbattuto sulle pareti verticali caldissime, ottenendo delle sfoglie squisite).

Poi si passò ai forni di argilla dove però il pane, tirato sempre come una piadina, veniva appoggiato sulla superficie esterna.

Il pane primitivo (come la piadina romagnola, come il pane che tutt'ora si consuma quotidianamente in Medio Oriente, e quello tipico della Pasqua ebraica, il chapati indiano e le tortillas sudamericane) è 'azzimo' cioè senza lievito.

E' il pane che si fa e si cuoce in fretta, che si conserva a lungo, insomma il pane per chi lavora molto, ha poco tempo e pochi mezzi: i contadini e i pastori.

La scoperta in Egitto del lievito nel IV millennio a.C. ( forse un po' di birra cadde sulla pasta? forse furono le spore che girano nell'aria e l'umidità a far 'gonfiare' l'impasto?) rese il pane più buono e soffice ma più laboriosa la sua preparazione: bisognava attendere che la pasta 'crescesse' e poi cuocerla in un forno più elaborato, con due scomparti: uno dove tenere acceso il fuoco, uno dove mettere il pane.

Il pane lievitato si prestava a infinite variazioni, farciture e condimenti. Sembra che gli antichi Greci fossero particolarmente bravi nelle focacce condite con latte, olio, vino, miele, arricchite con cipolle, erbe aromatiche, formaggio, fichi, uva passa… Furono loro i primi a lavorare di notte per far trovare il pane pronto al mattino. E perciò si giudicò opportuno e prudente affidare tale compito agli uomini.

Grazie ai Greci, i Romani conobbero il pane lievitato, mentre prima andavano … a piadina o polentine di farro.

 

Il vero Don Giovanni

Mentre ascolto alla radio il Don Giovanni scaligero, penso che solo il genio di Mozart
e di librettista come da Ponte potevano costruire un tale capolavoro su un personaggio tanto ignobile.
Lasciando da parte lo spagnolo Tirso de Molina (1584-1648) che sembra concepisse don Giovanni (El burlador de Sevilla) e Molière che gli dedicò una commedia, voglio invece raccontarvi dell'uomo in carne e ossa che forse ispirò Wolfgang con le sue discutibili gesta e innumerevoli avventure. Armand de Vignerot du Plessi duca di Richelieu nacque a Parigi nel 1696 e morì nel 1788, dunque Mozart fece in tempo a sentir parlare di lui, e forse anche a conoscerlo.
Era nipote del famosissimo duca di Richelieu, quel potente ministro di Luigi XIII immortalato da Alexandre Dumas, che ne fece il "cattivo" per eccellenza nei Tre Moschettieri.
Armand fu abilissimo cortigiano, diplomatico, soldato di vaglia, maresciallo di Francia, politico, ruffiano reale ma soprattutto fu il più celebre donnaiolo del regno sotto ben tre regni. Cominciò la sua carriera galante sotto Luigi XIV, ascese a sex-symbol durante la reggenza di Filippo d'Orléans e mantenne saldamente la pole-position di grande amatore durante il regno di Luigi XV, cui presentò più di una bella figliola con cui sollazzarsi. Fu lui a presentare una bellissima prostituta al re, ormai anziano: scandalizzando la Francia e l'Europa intera, ella divenne in breve tempo sua favorita e contessa du Barry.
Le duchesse si sfidavano a duello per lui e le borghesi pudibonde infrangevano i voti matrimoniali, le artiste speravano di avere la sua attenzione, le popolane non gli si rifiutavano, nessuna sfuggiva al suo fascino; e la sua insaziabile intraprendenza non rinunciava a nessuna donna.
Travestimenti, sotterfugi, passaggi segreti, fughe rocambolesche dai tetti, tutto osava per togliersi il capriccio del momento.
La sua seconda moglie lo adorava e non si sognò mai di restituirgli le corna, benché lui la ricompensasse solo con la sua indifferenza. Impalmò la terza a 84 anni.
Quando il duca morì, trovarono i suoi cassetti pieni di lettere d'amore di dame che lo supplicavano di un incontro, di una notte d'amore, anche solo di un'ora di passione; molte altre lettere, piene di suppliche, giuramenti e rimorsi, non erano neppure state aperte; e poi una profusione di ciocche di capelli intrecciate, anelli, pegni d'amore di ogni tipo.
A me piace ricordare un aneddoto, che accomuna il duca a molti uomini: per introdursi da una delle sue amanti, affittò una casa che una stretta viuzza separava da quella dell'amante. Poi pose un'assicella tra una finestra e un lucernaio della casa di fronte, che la cameriera della dama aveva lasciato opportunamente aperto, e passò arditamente su quel fragile ponte traballante. Sul far del giorno, al momento di ripassarci sopra, il maresciallo lo trova troppo pericoloso, gli sembra che l'asse si sia rimpicciolita, e la cameriera lo sprona inutilmente, ma …anche ricordandogli gli inconvenienti della situazione e quelli della dama, lui resiste. “Ma insomma” lo sprona lei “Vi siete pur già passato sopra!” “Sì” le risponde “ma era prima e allora si passerebbe anche nel fuoco. Ma dopo è ben diverso.” Niente poté convincerlo: si dovette nasconderlo in un armadio e poi farlo uscire sotto travestimento.

Pagine di cioccolato

Arriva per la prima volta in Via Legnone, un odore pungente di vaniglia gli riempie le narici. Si muove, curioso, dilata i polmoni, ora è cioccolato. Vede la piccola fabbrisca ancora attiva nella zona, una fabbrica dolciaria, una fabbrica delle fiabe. E senza alcun senso si commuove. Gianni Biondillo, I materiali del killer

Breve storia del cioccolato / 4

Dopo le puntate 1, 2, 3, finisce oggi la nostra breve storia del cioccolato.

4. Rudolph Lindt inventa nel 1879 il concaggio (un rimescolamento di diverse ore che rende la cioccolata liquida vellutata al palato, mentre prima risultava sempre granulosa. E' lui a inventare il 'cioccolato fondente'.
Un'altro svizzero, Daniel Peter (genero di Cailler) concepirà il cioccolato al latte e potrà produrlo nel 1879 grazie a Henry Nestlé, un chimico che scopre come ottenere il latte in polvere, e poi il latte condensato. Grazie a loro il cioccolato svizzero diventa ovunque il più ricercato.
Nel 1913, lo svizzero Sechaud inventa una macchina per produrre il cioccolato ripieno.
In America nasce la Mars.
Nel 1944 Pietro Ferrero, a Alba, mette a punto una nuova ricetta di crema di cioccolato con le nocciole, la crema Giandujot, che aveva il pregio di essere molto meno costosa del cioccolato di qualità. Ma non era abbastanza spalmabile: la ricetta venne riveduta finché sia arrivò al risultato sperato. Era nata la Supercrema Giandujot. Noi oggi la chiamiamo Nutella.

Breve storia del cioccolato / 3

Dopo la prima e la seconda puntata, continua la nostra breve storia del cioccolato.

3. Nel 1763 pare nacque il 'bicerin' specialità torinese a base di caffé, cioccolato e panna, da gustarsi caldo. A fine secolo, il torinese Doret crea il cioccolatino ma questa delizia resta una rarità artigianale per pochi, raffinati e ricchi consumatori.
Sapete dov'era più alto il consumo di cioccolato tra il 1600 e il 1800? Sorpresa! Negli stati vaticani: i religiosi ne facevano un uso intensissimo, anche durante i conclavi, con la scusa che in quanto bevanda non rompeva il digiuno.
Fino all'800, infatti, per cioccolato si intendeva sempre la preparazione liquida.
L'estendersi a livello mondiale delle piantagioni e la maggiore rapidità dei trasporti marittimi abbassò costo del cacao e dunque ne rese più abbordabile il consumo per un maggior numero di consumatori. Non a caso è nel XIX secolo che le scoperte dei m&ælig;stri cioccolatai creano le varianti che conosciamo.
Nel 1826 il torinese Caffarel ottiene il cioccolato solido, ma sempre a base di acqua. Un suo aiutante svizzero, tale Cailler, tornato in Svizzera diventerà un famoso produttore.
Nel 1828, il farmacista olandese Van Houten brevetta un metodo per separare dalla pasta di cacao il burro di cacao: quello che rimaneva era la polvere di cacao, che diviene finalmente facilmente solubile. Il burro di cacao, così separato, permetterà di modellare il cioccolato. E poterne mettere meno, renderà molto più gradevole il gusto dei prodotti, sia liquidi che solidi.
La prima tavoletta sembra sia nata a Birmingham nel 1849, grazie a Francis Fry, che impiegò burro di cacao con cacao e zucchero, ma senza acqua come invece si usava di solito.
Sempre a Birmingham nacque dalla famiglia quacchera Cadbury la prima scatola di latta decorata piena di cioccolatini. La famiglia si occupava di cacao fin dal 1824, quando John Cadbury aprì la sua drogheria. Per generazioni, i Cadbury continueranno a occuparsi con successo di cioccolata, fino a oggi. E dalla tavoletta di semplice cioccolato si arrivò alla tavoletta di cioccolato ripiena di cereali, frutta secca o quanto la fantasia poteva suggerire.
Nel 1852 nasce il gianduiotto, grazie al torinese Michele Prochet che provò ad aggiunge alla pasta di cacao le nocciole delle Langhe.
Nel 1878, Silvano Venchi lascia la Baratti e apre una sua attività in proprio: grazie a lui, abbiamo quella delizia che sono le Nougatine.
 

Breve storia del cioccolato / 2

Continua, dopo la prima puntata, la nostra breve storia del cioccolato.

2. In Francia il cioccolato arrivò con il matrimonio della povera Anna d'Austria (che nonostante il nome era spagnola puro sangue) con l'insopportabile Luigi XIII nel 1615, ma divenne di moda dopo il 1659 con il matrimonio successivo, tra Luigi IV e Maria Teresa d'Austria (spagnolissima anche lei).
David Chaillou tra il 1659 e il 1688 fu, per regio decreto, l'unico cioccolatiere di Parigi (cioè di Francia). I pareri sul cioccolato all'epoca sono contrastanti: chi gli attribuisce grandi qualità, tra cui quelle afrodisiache, chi lo accusa di minare la salute. Nel complesso, però, i pareri medicali sono più pro che contro. E comunque, coltivare cacao nelle colonie francesi d'oltremare sembrava un ottimo affare.
Nella seconda metà del '600 si estese anche all'Inghilterra (N.B. Il famoso White's Chocolate House fu aperto nel 1693 da un italiano!), al Belgio (che come nazione ancora non esisteva), all'Olanda e alla Germania. Diventa una bevanda alla moda, preparata nelle case o nei caffé, ma sempre per gente danarosa. Non a caso, Johan Sebastian Bach scrisse una cantata dedicata al caffé, molto più economico e alla portata anche di un povero musicista di corte tedesco.
Le ricette europee del tempo usano il cioccolato in modo più fantasioso delle nostre attuali, impiegandolo spesso anche in piatti 'salati' o a base di carne (tutt'ora la si impiega per la lepre in salmì) , mischiato a polenta, noci, formaggio, acciughe e quant'altro.
Nel 1687, il dottor Hans Sloane, in visita ai tropici scoprì che aggiungendo del latte la cioccolata era più buona. Questa preziosa idea sarebbe stata sviluppata ulteriormente nell'800.
Intanto gli astuti Olandesi, che stavano sviluppando un impero coloniale in Asia, con la decadenza della Spagna, diventarono i principali commercianti di cacao a livello mondiale. Intanto tutte le nazioni che avevano colonie si premuravano di piantare cacao ovunque il clima fosse stato caldo e umido, dall'Africa alle isole dell'Oceano Indiano. continua…
 

Breve storia del cioccolato /1

1. Quando Hernan Cortez giunse in Messico, si vide offrire alla corte di Montezuma una bevanda che lo riempì di disgusto. Sconcerto tra i cortigiani aztechi: il cacahuatl o xocoatl era per loro il “nettare degli dei”, che era stato insegnato loro da Quexalcoatl. In realtà, l'avevano conosciuto grazie ai Maya, che lo coltivavano già dal 600 a.C. (e forse anche prima) ma è noto che nessun popolo ammette mai di aver avuto m&ælig;stri.
Solo i nobili e i sacerdoti potevano bere quella bevanda, che aveva qualità ricostituenti, energetiche e inebrianti. Lo offrivano agli dei, lo aromatizzavano anche con vaniglia, peperoncino e pepe, aggiungendo acqua o anche (sembra) sangue (ma solo in casi speciali) e miele. Lo preparavano travasando varie volte la bevanda e frullandola in modo da ottenere una schiuma molto apprezzata, degustandola calda o fredda. Oppure pestavano i semi fino a ottenere una pasta densa. I suoi semi erano usati come moneta.
Anche Cortez dovette ammettere le virtù della disgustosa bevanda: un solo bicchiere poteva dare sostentamento ai suoi soldati per una giornata intera!
Ma si sa: il continente è piccolo, la gente mormora… Di lì a poco, tra un genocidio e l'altro, gli spagnoli si fecero scappare il segreto: anche i portoghesi ebbero modo di scoprire le virtù del cacao e cominciarono a piantarlo nelle loro colonie.
In Europa giunse nel 1527. Sembra venisse usato soprattutto nei conventi, e i religiosi potevano prenderne anche nei periodi del digiuno, perché in quanto bevanda non rompeva appunto il digiuno.
Ci si mise ad aromatizzarlo col pepe, preferendo vaniglia, gelsomino, cannella, noce moscata, chiodi di garofano, e finalmente zucchero (di canna).
Gli spagnoli erano molto gelosi di quel loro segreto, ciò nondimeno nel XVI secolo il cacao arrivò in Sicilia, che faceva parte dell'impero spagnolo, e a Modica impararono splendidamente a prepararlo. A fine '500 giunse anche in Piemonte, e poi nei primi del '600 in Toscana.
Sembra che un granduca de' Medici (credo Cosimo III) possedesse una ricetta segreta particolarmente apprezzata, che appunto prevedeva l'aggiunta di gelsomino, oltre a cannella e altri ingredienti segreti.
 

Uno sguardo sul futuro

"La scuola che sogniamo noi non costa nulla. Puoi entrarci sia da Torino, sia da Enna. Anche alle tre del mattino. È indipendente e basata sulla valutazione fra pari. È una scuola che corre alla tua velocità perché sei tu a decidere di cosa parlare. A rispondere alle domande non sono solo i docenti, ma anche i compagni di banco. Nella scuola che abbiamo in mente noi potrebbe capitarti un professore non laureato: l'importante è che tu stia a bocca aperta ad ascoltarlo. La nostra scuola è una condizione mentale, una creatura in divenire. La nostra scuola è di tutti." Se volete ritornare a credere un pochino nel futuro, guardate qui: www.oilproject.org

La parigina guida allo chic

Da sempre ammiro la sobrietà e femminilità dell’autrice, Inès de la Fressange, ed ora sarei curiosa di leggere i suoi consigli in materia di eleganza, abbigliamento, savoir vivre.

Qualcuno ha già letto questo libro? Cosa ne pensate?
Grazie.

La Milanesiana 2011

La magia de “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry nella lettura teatrale di Fabrizio Gifuni e Sonia Bergamasco e le letture di Wole Soyinka,  Petros Markaris e  Tahar Ben Jelloun; il matematico Cédric Villani, le parole di Ettore Scola precedute da un emozionante corto, la voce di Alice, la chitarra di Al di Meola ed il nuovo progetto musicale di Peppe Servillo; alcune parti non girate di “Noi credevamo” di Mario Martone messe in scena da quattro attori guidati dal regista, la chiarezza di Fausta Garavini nell’esposizione dell’opera di Anna Banti da cui è tratto il film e poi altri scrittori, tanto cinema, tanta musica, ancora scienza, tante letture, i talenti emergenti, i libri, due mostre, ancora teatro: scorrono ricche e gustose le giornate della dodicesima edizione della Milanesiana, l’atteso festival dell’estate milanese ideato e diretto da Elisabetta Sgarbi.
L’edizione 2011 si confronta su “Bugie e verità” e così le molteplici variazioni e declinazioni sul tema si incontrano, si incrociano e si intersecano nei vari linguaggi artistici in un susseguirsi continuo – appuntamento dopo appuntamento – di riflessioni, rimandi, interrogativi e proposte.
La Milanesiana – dopo i primi cinque giorni di Orariocontinuato” alla Sala Buzzati della Fondazione Corriere della Sera – dal 1° luglio ha ritrovato la sua abituale casa serale al Teatro Dal Verme e a mezzogiorno del 2 sono iniziati gli “Aperitivi con gli autori” in Sala Buzzati,  per approfondire gli ospiti della sera precedente, ma non solo. 
Si va avanti fino al 12 luglio: mercoledì 6 ci saranno Herta Muller e Claudio Magris, il 7  arriverà Giuseppe Tornatore, da venerdì 8 la Milanesiana si trasferirà al Teatro di Verdura di via Senato per cinque serate dedicate alla filosofia.
Alle 15 di sabato 9 in Sala Buzzati prenderanno il via i seicentocinquantotto minuti in anteprima assoluta di “Leningrado. Una retrospettiva” di Aleksandr Sokurov e alle 21 al Teatro di Verdura si potranno ascoltare le letture di Pietrangelo Buttafuoco e di Vittorio Sgarbi ed inoltre Andrea Renzi leggerà pagine da “Cosi parlo Zarathustra” di Friedrich Nietzsche.
Insomma, ad un certo punto bisognerà scegliere che fare e sarà un bel dilemma!
Ulteriore novità dell’edizione 2011 è stata l’appendice torinese del 27 giugno e qualche giorno fa Elisabetta Sgarbi – in una intervista al tg3 – ha espresso il desiderio di far sbocciare la rosa della Milanesiana a Napoli.
Ottima idea Elisabetta!
Sul sito www.lamilanesiana.it trovate l’articolato programma, gli orari, le sedi, gli indirizzi, le modalità di partecipazione e tante utili notizie.

Ignobile

Come in una sorta di romanzo orwelliano, se da domani uno studente scozzese si recherà nella locale biblioteca pubblica per chiedere i romanzi di Agnon e Appelfeld si vedrebbe rispondere che quei libri sono stati banditi. E’ successo che un consiglio provinciale in Scozia, il West Dunbartonshire (centomila abitanti), con una semplice ordinanza è diventata la prima regione in Europa a bandire libri isr&ælig;liani dalle biblioteche pubbliche. Un portavoce del West Dunbartonshire ha spiegato che non verranno fatti sparire “i libri isr&ælig;liani stampati in Gran Bretagna, ma solo quelli stampati in Isr&ælig;le”. Ha poi ammesso che soltanto lo stato ebraico è stato colpito dal provvedimento, mancando qualunque limitazione per i testi stampati in Iran o Siria. Lo scrittore isr&ælig;liano Amos Oz parla di decisione “vergognosa”. “Dove oggi si boicottano libri – ha commentato l’ambasciatore isr&ælig;liano a Londra, Ron Prosor – in futuro potremmo assistere anche al loro rogo”, richiamando alla memoria il falò di libri ordinato da Joseph G&œlig;bbels. Altri hanno ricordato le parole del p&œlig;ta Heinrich Heine: “Là dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini”. Circola uno strano veleno antiebraico nelle classi abbienti e pensanti europee. La settimana scorsa il famoso regista Lars von Trier aveva definito Isr&ælig;le “un dito nel culo”. In questa fase critica per la sopravvivenza d’Isr&ælig;le, sotto minaccia e disagio prenucleare, torna ad agitarsi una vecchia conoscenza dell’Europa. Il disprezzo per gli ebrei. Ne sono espressione queste nuove biblioteche judenrein.