Il libro che mi ha cambiato la vita e` l’Odissea, il primo libro che ho letto: o meglio, il primo che mi e` stato raccontato quando ancora non sapevo leggere. Mio padre era un grecista, e – incaricato ogni sera di raccontare una favola a me e mia sorella – ci raccontava le storie di Ulisse: l’avventura con il Ciclope, l’incontro con Circe, il cavallo di legno dal cui ventre cavo erano usciti i greci che avevano messo Troia a ferro e fuoco… Io aspettavo il momento di andare a dormire per ascoltarle e riascoltarle. Questo, il primo incontro con l’Odissea. Il secondo e` avvenuto a scuola. Al liceo, allora, si leggeva Omero, ovviamente in greco e in metrica. Nel mio caso, il ventitreesimo canto dell’Odissea: Ulisse, tornato in patria dopo vent’anni, ritrova e riabbraccia la moglie. Un Ulisse diverso, non piu` protagonista di fantastiche, mirabolanti avventure. Un uomo come tutti gli altri, o almeno cosi` ho creduto fino a quando, all’inizio della carriera accademica come storica del diritto, ho scoperto che era un uomo speciale e diverso. In quegli anni l’amore per Omero mi aveva spinto ad allargare lo sguardo dal mondo romano a quello greco, alla ricerca dei princìpi etici e sociali che regolavano il mondo descritto nei p&œlig;mi. Nel mio viaggio alla ricerca delle regole, il viaggio di Ulisse non era una metafora, non era l’esperienza attraverso cui l’er&œlig; maturava, formandosi al dolore e grazie a esso trasformandosi, non era l’obiettivo che consentiva a prezzo di infinite fatiche e sofferenze di prendere coscienza della condizione umana. Era un luogo reale, il prototipo di una delle comunita` greche che stavano dandosi le strutture fondamentali di quella che sarebbe diventata la polis. Ulisse, in questa prospettiva, era certamente, da un canto, un personaggio simile agli altri eroi, dei quali condivideva i valori fortemente – per non dire esclusivamente – competitivi. Come gli altri, doveva essere il piu` forte, il piu` coraggioso, doveva imporre la sua volonta` e soprattutto difendere il suo onore vendicando le offese subite, poco importava se volontarie o involontarie. L’etica della vendetta non lasciava spazio a considerazioni di quel genere.
La responsabilita` era la conseguenza del mero rapporto causale azione-evento. Ma Ulisse, che pure condivideva quei valori, alle qualita` eroiche (e ai comportamenti necessari perche´ gli venisse riconosciuto lo statuto eroico) ne aggiungeva altre, che lo rendevano particolare e molto diverso: era anche giusto. Dopo essersi vendicato, uccidendoli, delle offese arrecategli dagli arrogantissimi pretendenti alla mano della moglie, deve ristabilire l’ordine all’interno del suo oikos. I suoi dipendenti lo hanno tradito mettendosi al servizio dei pretendenti: meritano la morte, ma non tutti. Alcuni lo hanno tradito costretti dalla violenza dei Proci. Non avendo agito volontariamente, non hanno commesso alcuna colpa. E Ulisse, in veste di amministratore della giustizia domestica, li risparmia, affermando per la prima volta nella sfera del privato un principio che di li` a poco si affermera` come un principio fondamentale nella sfera pubblica: alla base della responsabilita` non sta il semplice rapporto causa-effetto; sta, per la prima volta, la colpevolezza, che presuppone la volontarieta` dell’azione.
Riletta in questa chiave, l’Odissea e` stata per me un documento fondamentale per seguire la storia che ha condotto i greci dal mondo della vendetta a quello del diritto. Ma non finiscono qui le prospettive di ricerca che mi ha aperto, nel corso degli anni. Altre, completamente diverse, le ho scoperte in seguito. Ad esempio, quella suggerita dal rapporto tra Ulisse e Penelope. Durante l’assenza del marito, Penelope, come ben sappiamo, resiste alla corte pressante dei Proci: ben centootto, ricchi, giovani e aitanti. Ulisse, durante il viaggio di ritorno, passa sette anni con Calipso, la ninfa gentile che gli aveva offerto l’immortalita` se fosse rimasto con lei, sulla sua isola. Ulisse rifiuta: e` un buon marito, ama la moglie, ma questo non gli impedisce, nei sette anni trascorsi con Calipso, di avere da lei due figli (Omero non ne parla, ma ne parlano i suoi commentatori, incerti solo sul numero: uno o due?) E un altro anno lo passa con Circe, che si decide ad abbandonare
solo dopo che i compagni lo hanno esortato a farlo. E anche da lei ha un figlio (di cui, di nuovo, parlano i commentatori).
Come non interrogarsi, leggendo questi episodi, sulle lontane lontanissime origini della doppia morale sessuale?
Potrei continuare, ma credo di avere spiegato perche´ il libro della mia vita e` l’Odissea. Per ragioni diverse – il piacere di sentir raccontare e di leggere, quello di ragionare, quello di studiare – mi ha accompagnato per tutta la vita.
pubblicato per gentile concessione di Longanesi, tratto da I libri ti cambiano la vita. Cento scrittori raccontano cento capolavori, a cura di Romano Montroni.