Leggevo molto da piccola, quando frequentavo le elementari e poi le medie, perche´ non sapevo come passare il tempo:mia madre faceva la sarta e lavorava tutto il giorno in casa; cuciva, non poteva portarmi
da nessuna parte ne´ giocare con me. Allora prendevo un libro, e leggevo. Questo per dire che i libri mi erano molto famigliari.
Ma quello che mi cambio` la vita fu un libro speciale. Avevo quattordici anni, da poco frequentavo la quarta ginnasio e non ne avevo ancora mai visti di libri cosi`. Adesso vi racconto come ando`, ancor prima di dirvi autore e titolo, perche´ non fu importante solo il libro, ma anche il modo in cui ne venni in possesso.
Me lo comprai io, con i miei soldi, prendendo il tram che portava in centro, un pomeriggio d’autunno. Erano le prime volte che avevo il permesso di girare sola per la citta`, e me le gustavo come un’avventura quasi mistica. Andai a passeggiare un po’ in via Roma, che per me era la via piu` bella di Torino, illuminata, piena di gente: mi faceva festa. Non avevo una meta precisa, ne´ qualcosa di specifico da fare; tantomeno avevo in mente di comprarmi un libro. Ma a un certo punto mi attrasse una piccola libreria, che adesso non esiste piu` da almeno una trentina d’anni: era una libreria che vendeva soltanto Oscar Mondadori, se ricordo bene. Era un negozietto di una sola stanza, ma aveva questo di bello: era tutta una vetrata che dava sulla strada, cosi` che si vedevano i libri da fuori. Tre pareti completamente foderate di libri fino al soffitto. Tutti Oscar. Costava trecentocinquanta lire, allora, un Oscar Mondadori; una cifra possibile, per una ragazzina di quattordici anni.
Ecco, adesso io non so dirvi perche´ scelsi proprio quell’Oscar, non mi viene in mente neanche una ragione. Non so se avevo sentito nominare l’autore o se l’avevamo addirittura studiato a scuola o se invece fu una scelta casuale e basta. Sta di fatto che presi proprio quel libro e non un altro: presi l’Oscar delle P&œlig;sie di Giuseppe Ungaretti.
Puo` darsi che mi attrasse la copertina. Ancora oggi, dopo anni, dopo aver studiato per anni Ungaretti ed essermi anche laureata su di lui, ancora oggi, se me lo nominate mi appare solo questo in testa:
la copertina interamente bianca di quell’Oscar, e al centro il suo faccione di vecchio sorridente, pieno di rughe, con i capelli radi.
Scrivevo p&œlig;sie, allora. Moltissime, anche una decina al giorno. Molto brutte, naturalmente, perche´ ero troppo giovane. Mi attirava molto, quindi, la p&œlig;sia; ma un vero libro di p&œlig;sie, ci&œlig;` un libro che ha dentro solo p&œlig;sie, non mi era ancora mai capitato di vederlo. In casa mia non c’erano libri, in generale.
Ripresi il tram per tornare a casa e li`, seduta tra la gente, aprii quel libro. Lo sfogliai e risfogliai. Rimasi sbalordita. C’erano cosi`poche parole in una pagina! E si potevano leggere cosi`, a caso, cominciando
da dove capitava e non dalla prima e poi di seguito. Cominciai a leggere una p&œlig;sia dopo l’altra, aprendo ogni volta
a caso. Era un gioco che non avrei finito mai, per niente al mondo: una specie di magia.
Avevo quattordici anni. Le parole di una p&œlig;sia in particolare mi parvero magiche: si legavano « naturalmente » a me, erano mie, parlavano di me. Era come se mi conoscessero, possibile? Chiarivano
i miei pensieri, come in un lampo; i miei pensieri, aggrovigliati e confusi, che non sapevo neanche di avere! Quelle parole mi parlavano, piu` di qualsiasi storia. Non avevano trama ne´ personaggi: erano solo una voce, un soffio. Era qualcuno che mi parlava nell’orecchio, solo a me, e in modo cosi` intimo.
S’intitola Natale la p&œlig;sia che mi colpi` quel pomeriggio. Diceva esattamente le cose che pensavo io. Esattamente! Anch’io a Natale, come c’era scritto li`, non avevo mai voglia di tuffarmi nelle strade,
che mi parevano un gomitolo, tanto erano intricate. E anch’io avevo molta stanchezza sulle spalle; mi sentivo stanca, e sola, come solo ci si puo` sentire a quattordici anni: poi mai piu` la vita ci sembrera`
cosi` pesante e solitaria. E anch’io volevo essere lasciata in un angolo e dimenticata, come una cosa. Si`, mi sentivo proprio una cosa. E anche a me sarebbe tanto piaciuto stare a guardare il fuoco nel camino, stare solo a guardare il fumo che fa le capriole.
Come faceva quel p&œlig;ta sconosciuto a leggermi cosi` i pensieri? Come faceva a dire che il fumo fa le capriole, come lo sapeva lui? Io, io lo avevo sempre pensato guardando il fuoco che scoppietta in un camino! Ma l’avevo pensato senza trovare le parole. E ora quel p&œlig;ta strano, con quel faccione che mi guardava dalla copertina, di colpo, cosi`, senza conoscermi, mi regalava le parole giuste: mi illuminava i pensieri che avevo sempre avuto. Che regalo generoso!
La p&œlig;sia e` questa, ve la trascrivo tutta perche´ possiate vederla.
Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade
Ho tanta
stanchezza
sulle spalle
Lasciatemi cosi`
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata
Qui
non si sente
altro
che il caldo buono
Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare
L’altra cosa che mi colpi` subito, leggendo in tram, fu la solitudine delle parole. Non avevo mai pensato che le parole fossero cosi` sole.
Che si potesse scrivere solo una parola per riga, per esempio « cosa », o « angolo », o « sto ». Sto: che meraviglia! Come suonava bene quel verbo cosi` solo e corto. Uno sparo nel vuoto.
Capii che le p&œlig;sie bisogna anche guardarle. Non basta leggerle, impararle a memoria e ripeterle tra se´ per sempre. Bisogna anche guardarle perche´ le p&œlig;sie sono un taglio, una ferita nella pagina. Che bianco accecante le pagine di un libro di p&œlig;sie! Nessun libro ha le pagine cosi` bianche. E ` quel bianco che mi stupi` allora, quello spazio cosi` vuoto, cosi` inutile! Uno spreco. Il lusso di lasciare che una pagina resti bianca, toccarla appena, sporcarla con cosi` poche parole, magari solo una decina, una sotto l’altra, cosi` che il testo sia una lama, un taglio verticale sulla tela. E ` il contrario delle nostre vite troppo piene, una pagina di p&œlig;sia. Il contrario delle chiacchiere vacue con cui riempiamo di rumore il mondo. Ci fanno bene per questo, i libri di p&œlig;sie.
Quel pomeriggio, sul tram, andai ben oltre la mia fermata. Continuavo a leggere, ero distratta, non vedevo piu` niente. Quando me ne accorsi, ero arrivata cosi` lontano…
Lessi per anni quasi esclusivamente libri di p&œlig;sie. I romanzi, di colpo, non mi dicevano piu` niente. Non avevo bisogno di storie, avevo bisogno di parole. Parole nude, rade, nitide: come solo la p&œlig;sia sa dare.
pubblicato per gentile concessione di Longanesi, tratto da I libri ti cambiano la vita. Cento scrittori raccontano cento capolavori, a cura di Romano Montroni.