Di Amleto, Virginia Woolf diceva che a seconda dell’eta` in cui lo leggi ti appare diverso. Credo sia vero per parecchi testi, soprattutto per quelli che a torto o a ragione rientrano tra i classici, gli eterni, gli intramontabili. Poi pero` ci sono dei libri che riletti anche a distanza di anni, o di lustri, riescono a darti le stesse emozioni della prima volta. Nel ritrovare e riconoscere un personaggio e le sue storie ritroviamo e riconosciamo noi stessi, quelli di allora, con buona pace di Pablo Neruda e dei suoi versi piu` tristi (e – si puo` dire? – piu` tremendi).
Quando ho incontrato per la prima volta Hans Schnier avevo qualche anno meno di lui, e l’ho riconosciuto subito come fratello, amico, sodale, complice. E non perche´ il suo mestiere – il clown – suscitasse in me una sorta di agnizione tra colleghi: allora neanche lo sapevo che avrei fatto l’attrice. Quello che mi ha colpito profondamente e indelebilmente era la sensazione di ascoltare una storia che mi riguardava, che mi permetteva di decifrare eventi che mi erano contemporanei. E poi mi sono innamorata. Non era la prima volta (mi era successo da poco con Aureliano Buendi´a) e non sarebbe stata l’ultima (che ha coinciso con l’incontro con il commissario Pastor inventato da Daniel Pennac), pero` e` quella che e` durata di piu`. Siamo stati lontani a lungo, ma qualche anno fa, grazie a Enrico Regazzoni, l’ho ritrovato, e adesso sono sicura che non lo lascero` piu`.
Forse non sarebbe male se svelassi anche il titolo del romanzo di cui sto parlando: e` Opinioni di un clown, scritto da Heinrich Bo¨ll nel 1963. Il protagonista e`, appunto, Hans Schnier, rampollo di una potente dinastia di industriali, ribelle e fragile, testardo e incosciente (ma molto piu` simpatico del tipo di cui si lamentava Mina piu` o meno negli stessi anni), irrimediabilmente idealista, insofferente a qualunque forma di ipocrisia, e disperatamente monogamo. Intorno a lui c’e` la Germania della ricostruzione e della rimozione, ci sono lutti atroci e memoria negata, c’e` la politica con i suoi riti e i suoi compromessi, e Hans non ce la fa a sopportare tutto questo, « non ci sta dentro ». Scende dalla giostra, rinuncia ai privilegi del suo status sociale, e da fuori racconta tutto quello che vede, senza parole: e` un clown straordinariamente bravo, anche se non fa ridere. Ha successo, pubblico in delirio, soldi, e Maria, l’unica donna della sua vita: quando perde lei, perde tutto, o meglio rinuncia a tutto, con implacabile rigore e c&œlig;renza, totalmente incurante del futuro e del presente, ma forse, finalmente, libero dal passato.
« Io sono un clown, e faccio collezione di attimi. » I libri capitano, come tutti gli incontri. Per caso ho conosciuto Hans Schnier prima di Holden Caulfield, che pure era nato una decina di anni prima. Forse per questo mi sono sempre immaginata Holden come un fratello minore di Hans, o forse il cugino americano mai incontrato. In comune avevano, e hanno, la fatica di vivere, l’incapacita` di decifrare e condividere i codici del mondo a cui appartengono per nascita, una tensione spasmodica verso un altrove geografico e sentimentale, e il dolore inguaribile di un lutto mai elaborato: il fratello morto di leucemia di Holden, la sorella mandata a morire in guerra dalla famiglia di Hans. Non sappiamo se Holden sia poi riuscito a vivere una vera storia d’amore; ma sappiamo che Hans l’aveva trovato, l’amore della sua vita, e non riesce
a capacitarsi di averlo perso, o meglio, che lei se ne sia andata per vivere con un altro, cattolico come lei, ma pur sempre un altro uomo: e non e` questo il vero peccato mortale? Non ci dovrebbe essere
un solo « per sempre » nella vita? Come puo` Maria condividere con un altro la stessa intimita`, gli stessi gesti? « Io non potrei nemmeno lavarmi i denti con un’altra. »
Ora, io sono notoriamente psicolabile e molto facile alle lacrime, ma ogni volta che ho letto o ricordato questa frase mi e` venuto il magone, il classico groppo in gola. Anche adesso, mentre scrivo: ovvio che non e` un argomento spendibile sul terreno della critica letteraria, pero` per me vale moltissimo. Far piangere (o far ridere, non c’e` alcuna differenza sostanziale) e` impresa difficile anche per chi ha a disposizione parole parlate, gesti e altri sostegni visivi e auditivi; riuscirci con poche parole scritte e` prerogativa dei grandi, quelli veri, quelli che durano. Per quanto mi riguarda, recentemente ci e` riuscito Jonathan Safran F&œlig;r: e a pensarci bene, forse il bambino Oskar Schell potrebbe essere figlio o nipote di Hans, no? Con quei nonni di Dresda e quel bisogno di sapere la verita` a tutti i costi…
Non so come i critici possano giudicare, oggi, Opinioni di un clown, ma so che e` un libro molto amato e molto citato in rete, da giovani blogger: ne sono felice. Vuol dire che non sono la sola a pensare con ostinata tenerezza « al clown che piange nella vasca da bagno, al caffe` che gli sgocciola sulle pantofole ».
pubblicato per gentile concessione di Longanesi, tratto da I libri ti cambiano la vita. Cento scrittori raccontano cento capolavori, a cura di Romano Montroni.