Che stupidaggine le classifiche personali. A un certo punto erano diventate di moda, e tutti a infarcire di irrilevanti graduatorie romanzi, racconti, articoli. Ognuno ti infliggeva le proprie scale di valore puntando a renderle spiritose, se non altro nella scelta degli oggetti da classificare: scarpe con tacco, insetti, cattive notizie… Senza dimenticare quelle che in realta` non vedevano l’ora di sferrarti: i loro cinque libri preferiti, e i cinque film, e i cinque dischi. Sono proprio queste classifiche di tono compunto e solenne le piu` insensate: cinque non basta, e` un numero che non rende giustizia alla sterminata produzione artistica con cui ci misuriamo. Cinque e` una beffa, un orizzonte limitato, un’occlusione mentale. Ma se non crediamo nelle classifiche, cos’altro puo` guidarci quando ci avventuriamo a cercare un filo conduttore nell’arazzo dei nostri gusti? Secondo me, il disordine dei ricordi. Fa testo quello che rimane vivido nei nostri pensieri, non solo per le sue qualita` intrinseche ma anche per il momento o la situazione in cui ci si e` presentato.
Per esempio, io non saprei dire quale libro mi abbia cambiato la vita, perche´ forse dovrei partire da Pippi Calzelunghe o da Pollyanna, i primi libri di cui ho memoria. Ma poi ricordo che un giorno, durante le vacanze della terza media, leggendo I Buddenbrook e scoprendo che l’autore l’aveva scritto tra i ventuno e i venticinque anni, con un senso di sconfitta e forse anche di sollievo pensai: no, non diventero` mai una scrittrice perche´ non ha senso, non potrei far meglio di lui, e` troppo bravo e non mi metto certo in competizione se so di perdere. E ricordo anche che quando avevo trentasette anni cominciai a cambiare idea, scrissi qualche racconto e un giorno incontrai a Milano Luca Doninelli, uno scrittore che avevo visto di sfuggita un paio di volte e che conoscevo solo perche´ era stato compagno di classe di mia cugina. Seguendo il tipico copione dell’aspirante scrittore tento goffamente di rifilargli i miei primi esili raccontini per ottenerne un giudizio. Qualche tempo dopo, Luca mi consiglia di leggere un libro, secondo lui
adatto a me per come mi ha conosciuto tramite la lettura di quei raccontini.E ` un romanzo breve di Carson McCullers, una scrittrice americana della Georgia, pubblicato nel ’43. Si chiama La ballata del caffe` triste. Quello di Luca e` il consiglio di uno scrittore credente, tremendamente credente, addirittura di CL, insomma un marziano per me, con tutti i miei pregiudizi antireligiosi e soprattutto anticiellini. Non cerchera` di traviarmi, di imbottigliarmi in un percorso di conversione, di rifilarmi qualche stucchevole autore mistico? Piena di scetticismo, cerco il libro, che e` introvabile. Fuori commercio. Come tutte le cose difficili, la ricerca diventa appassionante. Infine ne scovo una copia ingiallita – stampata nel ’91, e siamo nel ’98 –, una copia che il libraio aveva dimenticato di rendere, nonostante il mediocre successo di vendite. Tutto questo per dire che la combinazione di consiglio proveniente da persona presunta sbagliata, difficolta` nel trovare il libro, momento in cui mi accingo a scrivere il mio primo romanzo (quello
con cui iniziera` la mia tardiva carriera di scrittrice), ed effettiva bellezza del racconto della McCullers, mi hanno reso indimenticabile La ballata del caffe` triste – nonostante il titolo dal sapore dolciastro, midcult, ben poco allettante. Non saprei che posto dargli nella classifica dei libri che mi hanno cambiato la vita, ma la selezione dei ricordi me lo fa venire in mente prima di altri, tra gli almeno cento o duecento preferiti.
La storia che racconta pare abbastanza grottesca e, se non ci fosse una scrittura eccellente (con l’ottima traduzione di Franca Cancogni), il mero riassunto della trama potrebbe lasciare perplessi.
Siamo in una localita` desolata e rovente, non lontano da una strada dove la catena dei forzati viene portata a spaccare pietre. In p&ælig;se, dentro un fabbricato decrepito e apparentemente disabitato, vive
una donna dal viso « opaco, terribile come se ne vedono in sogno: senza sesso e bianco, con due grigi occhi strabici, incrociati tra loro tanto acerbamente che sembra si scambino un lungo e segreto
sguardo di dolore ». Questa donna solitaria, il cui viso spunta solo una volta al giorno dall’unica finestra che non sia inchiodata, si chiama Miss Amelia. Un tempo era stata ricca. Possedeva una distilleria nella zona delle paludi, oltre all’edificio cadente che era stato l’emporio del p&ælig;se. Da giovane si era sposata ma il matrimonio era durato solo dieci giorni, senza che la gente del p&ælig;se riuscisse a capire perche´.
Da allora, sempre solitaria, Miss Amelia aveva condotto rudemente i suoi affari: « L’unico uso che faceva del prossimo era cavarne soldi ».Ma il giorno del suo trentesimo compleanno, verso sera, in lontananza si era profilata una figura che lentamente si avvicinava all’emporio. «Un vitello sperso», aveva detto un avventore seduto fuori dalla bottega, sui gradini di legno. « Macche´. Sara` il marmocchio di qualcuno », l’aveva corretto un altro. Invece era un forestiero. Gobbo e nano. Con « le gambette storte » e « la testa molto grossa », e un viso « ad un tempo tenero e insolente » con la pelle ingiallita di polvere, una valigia malconcia e « mani come zampette sporche di passerotto ». Giunto all’emporio, questo essere deforme e derelitto estr&ælig; la foto consunta di due bambini indecifrabili e la mostra a Miss Amelia. Piangendo, sostiene di essere suo cugino e che quella foto ritragga loro due da piccoli. Inspiegabilmente, per gli abitanti del p&ælig;se che ne conoscono il cuore arido, Miss Amelia accoglie il presunto cugino Lymon. In p&ælig;se tutti comunque pensano che la pretesa parentela sia una montatura e che dopo averlo rifocillato Miss Amelia lo caccera`. Poi, per giorni, il gobbo non si vede piu`. Un rappresentante di tessuti mette in giro la voce che lei l’abbia ammazzato. I pochi abitanti sonnolenti si risvegliano e vivono un’eccitazione di pettegolezzo mai vista prima. Da quel momento la brava e buona gente del p&ælig;se non perde di vista
Miss Amelia, cercando di coglierla con macchie di sangue sugli abiti o mentre si allontana con un cadavere fatto a pezzi in un sacco di juta. Finche´, di colpo con modi sicuri e protervi, da padrone di casa, rispunta il cugino Lymon. Aveva avuto una delle sue ricorrenti febbri terzane e lei l’aveva curato. In breve, Lymon soggioga Miss Amelia, che assurdamente si innamora, e lui fa diventare
l’emporio un bar. Diventano una coppia socievole, attiva, e straordinariamente ridicola: la stangona mascolina e sgraziata e il nano gobbo e deforme. Seguiranno colpi di scena, altri arrivi inattesi, analisi taglienti sul senso dell’amore e sul modo di viverlo. Ma cio` che conta in questo lungo racconto e` soprattutto la meravigliosa e precisa selezione dei dettagli, e l’armonia ideativa di psicologie, luoghi, fisionomie. Infine l’elegante costruzione circolare, con un incipit e un finale bellissimi, all’insegna della sottrazione (l’attacco: « Il p&ælig;se in se´ e` squallido, non c’e` nulla tranne la filanda del cotone », e il paragrafo seguente: « Se cammini lungo la via principale in un giorno d’agosto, non avrai nulla da fare ». Il finale: « No, non c’e` assolutamente nulla nel p&ælig;se. Fai il giro della chiusa, prendi a calci un tronco imputridito e calcoli cosa si potrebbe fare di quella vecchia ruota di carretto sul margine della strada accanto alla chiesa. L’anima ti si corrompe nella noia »).
In definitiva: qual e` il romanzo che mi ha cambiato la vita? Non c’e`, o ce ne sono troppi. Ma la storia di Miss Amelia e del cugino Lymon, cosi` assurdamente grottesca e cosi` intensamente analitica nel descrivere moti dell’animo, vizi, ingenuita`, galleggia da anni nei miei pensieri (grazie Luca!) E ` una storia da cui uno scrittore ha tanto da imparare: immediata, fatta di materiali brutti, sporchi, poco allettanti, ma tenuta a galla dalla capacita` di descrivere la passione amorosa, le sue intensita` e i suoi inganni, e da una scrittura straordinariamente elegante e precisa. Se ti piace un racconto simile e` perche´ ti piace esplorare la profondita` degli esseri umani tanto quanto le loro azioni. E soprattutto ti piace che quest’esplorazione sia condotta da uno scrittore, uno che ha l’arte delle frasi, del loro tono e del loro ritmo. Ecco: La ballata del caffe` triste e` per me un modello di scrittura. Forse non mi ha cambiato la vita, forse lo sta facendo un po’ alla volta, giorno dopo giorno.
pubblicato per gentile concessione di Longanesi, tratto da I libri ti cambiano la vita. Cento scrittori raccontano cento capolavori, a cura di Romano Montroni.