In un quartiere periferico di Taranto, durante una rapina, un delinquente male in arnese (Sergio Rubini) approfitta di un momento di distrazione dei soci in malaffare per prendere il borsone col malloppo e darsela a gambe. Del resto i complici non portano rispetto per l’onorevole passato di Tonino e a causa di uno sbaglio lo chiamano Barboncino. L’uomo – cui ora tutti danno la caccia, i complici fregati, la polizia, l’ex fidanzata – si rifugia sul tetto di un palazzo con vista sulle ciminiere dell’Ilva dove viene accolto da uno strano tipo (Rocco Papaleo) che lo medica a modo suo, che dice di chiamarsi Cervo Nero e di appartenere alla tribù dei Sioux e che fa riti sciamanici per sopravvivere dopo che gli yankee hanno sterminato i bufali. Un po’ film d’azione un po’ western urbano un po’ altre cose Il grande spirito di Sergio Rubini racconta la storia di due persone ai margini e di come alla fine riescano a trovare la salvezza, e lo fa in modo sicuramente partecipato e generoso, in parte i due protagonisti, peccato si prenda così tanto tempo, dura 113 minuti, troppi.