Agosto sta per finire, in sala sono spuntate diverse proposte, qualcuna è pure interessante, vediamole in breve partendo da un film d’animazione indirizzato ai più piccoli, è L’era glaciale – In rotta di collisione di Mike Thurmeier e Galen T. Chu e racconta l’ avventura nello spazio dello scoiattolo Scrat e la fuga di Manny, Diego, Sid e dell’ipercinetico furetto Buck, tutti costretti a mettersi in viaggio per salvare gli animali preistorici dal pericolo di un probabile meteorite. Si sorride qua e là e comunque poco, la combriccola è buffa e gioiosa ma la minestra strariscaldata stanca e non è detto che questo quinto episodio sia l’ultimo, oltretutto.
Andiamo avanti: Lo squalo di Steven Spielberg del 1976 resta unico, irripetibile e impareggiabile e molti registi hanno provato a inseguire il filone realizzando film su pescecani, orche assassine e piranha con risultati pressoché modesti e irrilevanti, detto questo da giovedì scorso è nelle sale il più che buono Paradise Beach – Dentro l’incubo del regista catalano Jaume Collet-Serra dove l’incontro ravvicinatissimo tra la bella bionda surfista texana Nancy (Blake Lively) e uno squalo bianco affamato a pochi metri dalla riva di una spiaggia messicana paradisiaca e deserta mette addosso i giusti brividi e fa circolare parecchia ansia, al netto di qualche perdonabile convenzionalità, soprattutto nella parte finale.
Ancora incubi con Escobar: Paradise Lost di Andrea Di Stefano – un tempo attore – che racconta l’incontro tra il giovane Nick – arrivato dal Canada in Colombia per unirsi al fratello surfista trasferitosi lì – e Maria, la nipote mozzafiato nientedimeno che del superboss della droga Pablo Escobar, interpretato da un magnetico Benicio Del Toro. Nick – che si illudeva di aver trovato il paradiso in terra – si ritrova in un inferno senza via d’uscita e noi non ci annoiamo neppure un minuto, nonostante qualche lungaggine.
Altro film, altri incubi: dalla Colombia di Escobar: Paradise Lost all’Argentina degli anni Ottanta, Il Clan di Pablo Trapero si ispira alla vicenda vera di Arquimedes Puccio (Guillermo Francella), un padre di famiglia premuroso e amorevole, un cittadino borghese dagli occhi di ghiaccio rispettabile e rispettato che organizzava sequestri in proprio, chiedeva riscatti in dollari e poi ammazzava i rapiti sotto lo sguardo indifferente e impassibile della moglie e con la complicità dei figli e dei golpisti che lo coprivano fino a che – terminata la dittatura – l’orrore venne a galla e tutti furono puniti ma neppure troppo, come si legge nei titoli di coda. Il Clan è un film nero che più nero sulla banalità del male e ritrae con efficacia persone malate, sulle note di una colonna sonora pop e rock anni Sessanta.
Inchioda alla poltrona anche Il diritto di uccidere del regista sudafricano Gavin Hood, un attualissimo thriller bellico molto seduto e molto tecnologico girato in diverse stanze dislocate tra Londra e il Nevada dove l’ex queen Helen Mirren interpreta Katherine Powell, colonnello britannico alle prese con l’organizzazione a distanza di un raid contro una cellula terroristica in Kenia. Quanto è opportuno lanciare un missile sapendo che può colpire innocenti? e poi, la vita di una bambina vale più o meno di ottanta vite? insomma, esiste un diritto a uccidere? Il film semina dubbi, lascia spazio a punti di vista contrapposti e non coinvolge solo ministri, ministeri, piloti, militari e servizi segreti ma anche ciascuno di noi. Ultima interpretazione del grande Alan Rickman.
Poi c’è la commedia francese e alla francese Torno da mia madre di Eric Lavaine dove – partendo dal ritorno forzato a casa di mammà della quarantenne Stéphanie, lasciata dal marito e rimasta senza lavoro – si parla di temi sociali, di problemi di convivenza e di gioie e dolori dell’amicizia con piacevole e godibile leggerezza. Nulla di memorabile, d’accordo, ma Josiane Balasko nel ruolo della maman energica e vitale decisa a godersi una seconda giovinezza assieme al compagno che vive al piano di sopra mentre i figli pensano si stia ammalando stravale il prezzo del biglietto.
La banalità del male: “Il clan” e “Escobar”
Con l’ inizio della stagione cinematografica iniziano ad arrivare nelle sale pellicole di buon spessore dopo la solita estate fiacca.
Dall’ Argentina arriva “Il clan”, film splendido e campione d’incassi in patria diretto da Pablo Trapero; una agghiacciante storia vera degli anni Ottanta avvenuta tra la fine della sanguinosa dittatura militare e il ritorno della democrazia. La famiglia Puccio, padre, madre, quattro figli (un quinto è all’estero essendo fuggito da una situazione che riteneva insopportabile), piccoli borghesi all’apparenza tranquilli e perbene che in realtà organizzano sequestri destinati a finire sempre con l’ uccisione dell’ostaggio dopo aver incassato i soldi del ricatto. I Puccio mangiano, pregano, guardano la televisione mentre le urla strazianti dei loro sequestrati rimbombano nella casa. Solo la fine della dittatura e la mancata copertura delle loro malefatte da parte di un generale golpista porrà termine alle malefatte. Scritto con intelligenza, girato e interpretato in maniera eccellente “Il clan” ha il merito di mettere in campo un commento musicale di prim’ordine a suon di jazz che rende ancora più emozionante il racconto visivo. Da non perdere anche “Escobar” di Andrea Di Stefano con un superbo Benicio Del Toro nei panni del boss narcotrafficante colombiano Pablo Escobar amato e temuto nel suo paese al pari di un potente principe del medioevo. Crudele e feroce l’uomo alterna la sua religiosità, il suo amore e la sua dedizione per la famiglia con ammazzamenti a non finire dei suoi avversari.
Due film sulla “banalità del male” della natura umana che non finisce mai di stupirci…..