Quarto film, e successo trionfale in crescendo – di ora in ora, proprio così – di Checco Zalone – quarantenne bamboccione del Sud, scapolo servito, riverito, inamidato e profumato con italica devozione da mammà, assunto, o meglio: sistemato, nell’ufficio provinciale Caccia e pesca ubicato giusto di fronte casa dove mette i timbri sui permessi accettando quaglie, salami e altre squisitezze solo per educazione -.
Checco – rifiutata la troppo modesta liquidazione e messo in mobilità – ci porta su e giù e anche molto lontano dall’Italia – laddove regnano le regole della civiltà alle quali tenta di adeguarsi – portandosi dietro i molti vizi e le pochissime virtù, le attitudini, le debolezze, i paradossi, i vezzi, le inclinazioni, gli squallori, le sfaccettature dell’italiano fissato che più fissato, anzi: ossessionato, fin dalle scuole elementari col posto fisso e i privilegi annessi e connessi nonché le contraddizioni della nostra politica che da una parte rottama e dismette le vecchie province e dall’altra nutre e ingrassa altri inutili enti.
Si ride, si ride tanto (meno che nei precedenti film di Checco), si ride di gusto per quanto amaro in Quo Vado?, si ride di noi stessi visto che Zalone – che si batte e va fino al Polo Nord per difendere il suo posto di lavoro – ancora in coppia col regista Nunziante e circondato da un cast in gran forma (Sonia Bergamasco, Lino Banfi, Ludovica Modugno, Maurizio Micheli) racconta e osserva l’Italia con ironia pungente e graffiante epperò mai sguaiata, con grazia e freschezza, con delicata ferocia e controllata irriverenza.
Adesso basta, se ne scrive e se ne legge così tanto di questo film che poi va a finire che le smisurate aspettative restano deluse, ritagliatevi un’ora e mezza di tempo e andate a godervi Quo Vado? in sala…