Il grande fratello è un gioco, con delle regole a noi sconosciute, a cui le persone, che scelgono di partecipare dopo molti casting in tutta Italia, si devono attenere. Promette soldi e visibilità in televisione.
Il gioco consiste in una convivenza obbligata di 4 mesi circa tra persone che non si conoscono; i partecipanti uomini donne, ogni giorno affrontano delle prove e, se le vincono, aumenta il budget per il loro sostentamento, altrimenti viene ridotto. Sono sempre sotto l’occhio delle telecamere, ma vengono ripresi dal vivo solo una volta alla settimana, e devono sottostare alle nomination; ad ogni puntata esce un partecipante, non prima di aver assistito a pianti o follie espresse dai ragazzi nel cosiddetto confessionale.
Vorremmo, un po’ per scherzo, ma non solo, fare un piccolo paragone fra il grande fratello e il carcere di San Vittore. Iniziamo dalle somiglianze: noi e loro condividiamo una condizione di partenza, la convivenza coatta con persone sconosciute, loro hanno fatto questa scelta, noi no. Possiamo paragonare il loro confessionale ai nostri colloqui con lo psichiatra e con lo psicologo? Forse sì. Certamente da noi non tutti sclerano dopo pochi giorni come fanno loro, altrimenti staremmo freschi.
Forse, nella nostra situazione, noi dobbiamo confrontarci con tradizioni, culture, nazionalità diverse e, se questa, da una parte è una grande ricchezza, dall’altra ci costringe ad accettare abitudini e difficoltà di comunicazione non indifferenti, che portano a volte a incomprensioni e equivoci. Loro mi danno l’impressione di essere tutti molto simili e soprattutto rispondono a un modello (belle e maggiorate le donne, muscolosi e tatuati gli uomini). Gli uomini da noi non ci sono, purtroppo, stanno in un loro reparto e solo in occasioni speciali ci troviamo insieme.
La convivenza forzata è difficile, loro hanno lo strumento della televisione per sparlarsi addosso, noi dobbiamo combattere con invidie, ipocrisie, falsità. È davvero difficile riuscire ad accettarci le une con le altre e ad andare d’accordo, però non smettiamo di tentare, fa anche questo parte della crescita che ci siamo imposte e alla quale dobbiamo credere.
Ma la grande differenza è che loro temono di essere nominati, e, per evitarlo, accettano le bassezze più vili, alleanze improbabili, noi non vediamo l’ora di esserlo, vuol dire che saremmo finalmente fuori. Nessuno però ci darà un premio in denaro, né le reti Mediaset faranno a gara a intervistarci o a invitarci come testimoni o, peggio ancora, come opinion maker! Sarà invece per noi dura trovare un lavoro e una sistemazione adeguata.
Passano gli anni e il grande fratello resta sempre uguale a se stesso: amori che nascono e muoiono, rivalità e gelosie, invidie e trabocchetti, gruppi e gruppetti, malelingue e cattiverie. Anche qui dobbiamo guardarci dalle invidie e dai gruppi che ti escludono, però, grazie a tutte le possibilità che abbiamo di partecipare a corsi, lezioni e attività varie, riusciamo a crearci un mondo di passaggio fra la realtà presente e quella futura in cui dovremo conquistarci uno spazio.
E infine, l’ultima, ma non la più piccola differenza, tra noi e il grande fratello è che la società è molto più interessata alle beghe e alle dinamiche sciocche della trasmissione e molto meno alla nostra condizione di detenute, non ha nessuna volontà, nessun interesse a sapere come si svolge la vita in un carcere; forse avremmo anche noi bisogno di un occhio curioso che ci segue costantemente! O forse solo ammettere costantemente nella nostra realtà pezzi di società civile come, da un po’ di tempo a questa parte, si sta tentando di fare a San Vittore, con i concerti, gli aperitivi, il teatro, i giornali e le mostre.