Dopo molti anni passati dentro il carcere – 19 per l’esattezza – mi ritrovo a dover varcare ancora la porta d’ingresso. La prima sensazione è stata capire se stavo entrando o uscendo da quel mondo che per tanti anni avevo atteso… Il problema, dopo tutto quel tempo, è che non sai più a quale realtà appartieni; il carcere è una vita differente da quella che ti saresti aspettata, ma comunque è vita. Quando esci i problemi sono moltissimi: ti senti inadeguata e senza una collocazione sociale, che ti eri invece creata all’interno dell’istituto di pena. È difficile ricominciare e, quando dopo otto mesi, forse, cominci farcela…ti ritrovi a rientrare. È ancora più dura! Eh già! Di nuovo in quel mondo parallelo deresponsabilizzato e con la sensazione di un fallimento molto più grande. Credevi di non doverci tornare. Ma le cose non vanno quasi mai come ci aspettiamo, soprattutto se facciamo in modo di creare i presupposti per sbagliare di nuovo – poco o tanto che sia. Quindi, di nuovo qui, dentro o fuori da quel cancello che separa due diverse forme di vita , seppur entrambe, secondo me, prive di libertà effettiva. La libertà è soggettiva, interiore, non è un cancello che ci rende liberi, ma la forza di liberarci dai condizionamenti. Detto ciò, anch’io soffro per il ritorno in carcere, ma, realisticamente parlando, avrei potuto evitarlo se solo avessi resistito ancora un po’ nell’onestà; niente succede per caso, secondo me, e sono sicura che avevo di nuovo bisogno di varcare quel cancello per scegliere, definitivamente, da che parte avrei voluto vivere. I fallimenti servono per crescere e rialzarsi e anche per conoscere a fondo i tuoi limiti.