Nella prima scena di Amour la tragedia si è già compiuta, poi il nastro si riavvolge e la fine viene raccontata dal suo inizio.
Georges e Anne sono due ottantenni, sono sposati da una vita, amano la musica e la lettura e vivono sereni in una bella casa zeppa di libri e di memorie.
Una sera come tante un ictus paralizza Anne e paralizza le loro vite; lei affronterà la disabilità con coraggio e dignità, Georges l’accudirà con amore e dolcezza.
Haneke racconta il calvario di dolore e la crudeltà del declino che porteranno alla sequenza iniziale del film con uno stile rigoroso e con un linguaggio essenziale e sorvegliato che evidenzia le prove degli attori.
Già, gli attori: definire Jean-Louis Trintignant ed Emmanuelle Riva magnifici è quasi riduttivo, e a Isabelle Huppert nel ruolo della figlia Eva bastano poche scene per confermare la sua grandezza.
Amour è un film bello e importante, in sala si partecipa e si soffre.
Andrò di sicuro. si piange molto?
Haneke è l’entomologo sadico di sempre. Piangere,forse,ma su quei noi stessi che potremmo essere,fra qualche anno, nei panni del protagonisti. Lo sguardo impietoso,quasi pornografico sulla sofferenza e la miseria fisica, quello si tollera con difficoltà. Un film del quale si poteva fare a meno. Non lo rivedrei.