Geppetto, un falegname estremamente povero, costruisce con un pezzo di legno ricevuto da Mastro Ciliegia un burattino che si rivela capace di camminare e parlare. L’uomo inizia a trattarlo come il figlio che non ha avuto ma che ha sempre desiderato e gli dà il nome di Pinocchio. Dopo la parentesi di Dogman Matteo Garrone torna alla favola e punta sul libro di Carlo Collodi raccontandoci però una storia che si presume tutti conoscano a memoria senza invenzioni particolari, come ci saremmo invece aspettati. E quindi, anche se la confezione del suo Pinocchio – fotografia, scenografie e trucco – è superlativa, anche se Roberto Benigni è un magnifico e commovente Geppetto, Rocco Papaleo e Massimo Cecchinerini sono perfetti nei panni del Gatto e della Volpe e Gigi Proietti in quelli di Mangiafuoco, il film ha stile – e che stile: ripetiamolo – ma non ha un’anima, non scalda i cuori, non coinvolge e finisce per annoiare. Insomma, una delusione, che scotta ancora di più dal momento che arriva da Garrone.