Osamu – indolente operaio edile – è costretto a rubare cibo nei supermercati assieme a Shota per sfamare la moglie stiratrice, la cognata impiegata in un peep-show e una nonna che con la sua piccola pensione li mantiene tutti. Il gruppo di famiglia, che vive in una baracca ai margini di Tokyo, aumenta con l’arrivo di Yuri, una bimba di cinque anni che Osamu e Shota trovano una sera di febbraio tornando a casa, tutta sola, infreddolita e piena di lividi. Ma è una vera famiglia la famiglia Shibata? Così sembra, si vogliano un gran bene, si aiutano, intanto il regista nella prima parte della storia sparge vari indizi, fino a che un’incidente farà emergere verità e segreti. La famiglia vera prescinde dai legami di sangue, dall’ordine, dalle leggi e dalle regole, è laddove ci sono amore, dialogo, tenerezza, umanità, calore, accoglienza e in Un affare di famiglia – Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes – Hirokazu Kore-Eda ce lo ricorda – o meglio: ce lo sussurra – con quello stile misurato e semplice che da sempre contraddistingue il suo cinema.