Si chiama Lettere all’Italia il programma televisivo condotto da Giorgio Selva (Claudio Bisio), giornalista e soprattutto padre di Tito (Gaddo Bacchini), diciassettenne sdraiato del nostro tempo di cui ha avuto l’affido condiviso dopo la separazione dalla moglie e col quale proprio non riesce a comunicare. Il ragazzo – che si muove sempre in gruppo con una compagnia fissa di amici altrettanto sdraiati (detta la banda dei froci) fino a che non si mette con una coetanea malmostosa – è disordinato, scorbutico, sbuffa e alza gli occhi al cielo quando il padre – un tipo metodico e bonario – gli si rivolge e si scontra con lui sempre e su tutto. Ma Giorgio si ostina, persevera e non molla. Francesca Archibugi e il co-sceneggiatore Francesco Piccolo adattano l’omonimo libro di Michele Serra, un monologo, al grande schermo, ne resta l’argomento – la mancanza di dialogo tra genitori e figli -, argomento che nella versione cinematografica viene affrontato dai due punti di vista, peccato venga trattato in modo banale, superficiale, con troppi luoghi comuni e personaggi di poco spessore, zero ironia, pochi congiuntivi e niente graffi. E si esce dalla sala con il desiderio di rivedere Scialla di Francesco Bruni…