Paterson, regia di Jim Jarmusch

di

patPaterson (Adam Driver) è un tipo molto silenzioso e senza neppure il telefono cellulare, vive nella piccola cittadina di Paterson, nel New Jersey, fa l’autista di un bus comunale e ha una moglie, Laura (Golshifteh Farahani), che si diletta a dipingere tutto in bianco e nero – dolcetti compresi -, suona la chitarra, fa mille progetti, sogna e si muove in continuazione, anche da ferma. La coppia ha un cane – Marvin: bulldog dispettoso da applausi – col quale Paterson tutte le sante sere, dopo il lavoro e dopo aver cenato, va allo stesso bar vicino casa, zeppo di fotografie di persone celebri legate alla città, per bersi una birretta in compagnia. E’ un’esistenza parecchio ripetitiva e molto ordinata quella di Paterson – per quanto alle volte qualche imprevisto di poco rilievo gli capita -, illuminata però dalle poesie senza rima che il giovane uomo – ispirandosi a ciò che vede o che sente quando è alla guida del bus – scrive su un libretto, del resto Paterson è il titolo del poema epico del poeta americano William Carlos Williams: benvenuti a Paterson di Jim Jarmusch, per trascorrere una settimana a fianco dell’universo minimalista di due belle persone, in un omaggio – reso dal regista con estrema grazia e inconfondibile leggerezza – alla poesia contenuta nei dettagli, per quanto irrilevanti.

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