Jenny Davin (Adèle Haenel) vive in esclusiva per il suo lavoro di medico condotto in un ambulatorio alla periferia grigia di Liegi dove c’è anche Julien, uno studente in medicina impegnato in uno stage. Una sera, poco dopo l’orario di chiusura, qualcuno suona al campanello, la dottoressa decide di non aprire e quando il giorno seguente due poliziotti chiedono di analizzare la registrazione del video di sorveglianza dello studio perché è stato ritrovato nei dintorni il cadavere di una ragazza senza identità Jenny – tormentata dai sensi di colpa per non aver aperto la porta – inizia una propria personale tenace rischiosa indagine e la sua perseveranza e la sua bontà d’animo la porteranno a stanare segreti e bugie di vari personaggi, a dare un nome al colpevole e giustizia alla morta. In La ragazza senza nome oltreché il consueto stile rigoroso e i temi morali ed etici molto cari a Luc e Jean-Pierre Dardenne, maestri cantori di infelici, sfortune e infelicità, c’è pure una nota nera e anche se il film non è il più riuscito il messaggio arriva comunque chiaro e netto.