Ci sono dei film da vedere non tanto per come raccontano la storia quanto per la storia che raccontano, L’uomo che vide l’infinito è tra questi, tantopiù che la sottoscritta non aveva mai sentito nominare Srinivasa Ramanujan, un asso della matematica autodidatta nato a Madras, in India, e convocato nel 1913 al Trinity College di Cambridge dallo stimato professore G. H. Hardy per dimostrare le sue formule innovative.
I pregiudizi dei rigidi e austeri professoroni nei confronti dell’indiano considerato diverso (interpretato da Dev Patel) quindi inferiore, il contrasto tra la formazione accademica e quella decisamente istintiva del nuovo arrivato che trovava le soluzioni a modo suo – le intuiva dall’alto -, la grande amicizia tra il glaciale e solitario professor Hardy (Jeremy Irons: impeccabile), la sua battaglia perché quel geniale ragazzo spesso in ciabatte fosse trattato alla pari e la proposta – alla fine accolta – di nominarlo fellow dell’università: il regista vira al melodramma, preme l’acceleratore qua e là sugli aspetti toccanti della vicenda puntando al cuore degli spettatori e alla commozione ma, come si diceva all’inizio, nonostante la mancanza di qualche guizzo e nonostante il tutto risulti un po’ didascalico, la storia è una bella storia e ora so chi è Srinivasa Ramanujan e quale contributo ha lasciato.