In una New York vivace più di sempre si incontrano Tracy (Lola Kirke) – 18enne universitaria annoiata con aspirazioni letterarie – e Brooke – figlia 30enne del futuro marito di sua madre -, che gira come un trottola, vede gente, fa, pensa e soprattutto dice mille cose mentre in testa gliene frullano altrettante mille: ovvio che l’energia e il dinamismo di Brooke incantino e coinvolgano Tracy, peccato che tanta frenesia si riveli improduttiva e molto fine a se stessa.
Riecco Noah Baumbach, riecco Greta Gerwig dopo Francis Ha, ecco Mistress America dove ancora una volta il regista si sofferma sulle tematiche che gli stanno più a cuore – le fragilità della giovinezza, il passaggio all’età adulta, la ricerca di un posto nel mondo, gli incontri/scontri/identificazioni tra generazioni, il tradimento – e confeziona, sulla scia di Allen, un film verbosissimo – ottantaquattro minuti di chiacchiere senza sosta su vita e arte stancano parecchio – dal glamour dolente e più agro e malinconico che dolce con due interpreti molto brave.
“New York New York”
La Grande Mela è sempre lì davanti ai nostri occhi quasi ogni volta che scegliamo un film americano al cinema.
Luogo magico dove tutto avviene e tutto è contraddetto, la metropoli è al centro di milioni di storie già dai tempi del muto (“La folla”, 1928 di King Vidor, amara parabola sul sogno americano con un linguaggio innovativo).
In “Mistress America” una diciottenne e una trentenne si confrontano con i loro problemi, le loro gioie e dolori in un film verbosissimo (“sostiene Ilaria”) difficile da vedere in lingua originale con i sottotitoli. Eppure deve essere affascinante sentire in originale le due protagoniste alla ricerca della loro non facile strada tra malinconia e tenerezza. Solo per spettatori sensibili e ricettivi che possono immedesimarsi, se lo vogliono, nella vicenda.
Sì, perchè poi alla fine “tutto il mondo è paese”………