Xavier Racine (Fabrice Luchini) non è il signor giudice ma il signore presidente della Corte d’Assise di Saint-Omer, come puntualizza con stizza di continuo, e gode di brutta fama perché di solito non dà pene minori ai dieci anni. Racine è un tipo grigio e solitario, intransigente e scostante, all’inizio del film ha la febbre e deve uscire a notte fonda per andare dal medico a farsi fare un’iniezione, e dopo poco scopriamo che sta per divorziare e che ha un’anca malridotta a seguito di un brutto incidente, accaduto molti anni prima.
In tribunale Racine sta affrontando il caso di una neonata ammazzata a calci dove il padre – il maggiore sospettato – si dichiara innocente. In giuria c’è una donna splendida e luminosa, si chiama Ditte, è l’anestesista che curò Xavier nel lungo periodo passato in ospedale, un tempo amata segretamente e della quale si scopre ancora innamorato perso.
Basta così, due interpreti magnifici e impeccabili (Luchini non delude mai, Ditte è l’attrice danese Sidse Babett Knudsen) e una sceneggiatura che dosa e mescola vari ingredienti – oltreché quello sentimentale – con raffinatezza, grazia e sensibilità estreme fanno de La corte un imperdibile brillante gioiello denso di sguardi e di espressioni, indirizzato soprattutto a palati molto molto sottili.