In un futuro prossimo – si spera solo immaginario – i single sono arrestati ed esiliati in un albergo extralusso con un mese e mezzo di tempo per accasarsi, pena la trasformazione in un animale a loro scelta, e David, disperato e stufo di questionari bizzarri e punizioni altrettanto bizzarre, fugge nei boschi tra i solitari scappati dall’hotel per restare scoppiati e in mezzo a loro – laddove quindi gli sarebbe vietato – trova l’amore: ecco in sintesi The Lobster (l’aragosta, indovinate un po’ perché), riflessione sulla vita a due e su quella da soli, sulla paura di vivere con qualcuno e sul terrore di vivere – e morire – da soli dove non ci sono risposte ma solo domande e dove l’eccesso di metafore, di allegorie, di paradossi, di toni grotteschi e di umorismo nero e la recitazione asettica possono piacere e affascinare o al contrario respingere e disturbare, per quanto mi riguarda mi sono spazientita e annoiata infinitissimamente.
Sicuramente il tema è affascinante ed è trattato utilizzando un linguaggio cinematografico nuovo, ma detto questo vorrei inoltrare una preghiera ai signori registi. Qualche volta fateci capire qualche cosa, evitare incursioni intellettuali troppo complicate per il livello culturale del povero spettatore che dopo aver resistito eroicamente sulla poltrona all’attacco di Morfeo (che russate ho visto nella mia modesta carriera di critico, di spettatore di professione) esce dalla sala con lo sguardo smarrito cercando comprensione negli occhi degli altri (traduzione: avete capito qualche cosa oppure sono io che sono scemo…).
Grazie………