Riecco al cinema la lotta ai cartelli messicani della droga, riecco quella frontiera marcia e infuocata tra Stati Uniti e Messico, ecco la versione del canadese Denis Villeneuve (regista del bellissimo Prisoners: chi non lo ha visto cerchi di provvedere).
Un gruppo di agenti scelti dell’FBI e della CIA viene spedito in quell’inferno a combattere la guerra tra narcotrafficanti, ne fa parte anche l’agente Kate Macy e la donna – talentuosa ma fragile e soprattutto pura, idealista e certa che vincerà la giustizia – alla fine dovrà comprendere come laggiù i confini tra Bene e Male si annullino e si mescolino e giustificare l’ingiustificabile perché una guerra va vinta, non importa come lo si fa.
Una regia tesa e concitata – lo si capisce dalla sconvolgente sequenza d’ apertura: magnifica – con inquadrature e riprese superlative, una sceneggiatura solida e un cast di stelle in formissima (Emily Blunt, Josh Brolin e Benicio Del Toro con sguardo ambiguo e freddo, per farla breve: uno schianto) fanno di Sicario uno di quei film che nonostante qualche calo di tensione coinvolge e perlopiù inchioda alla poltrona, cosa assai rara ultimamente.
In sala, in sala…
Una sottile linea invisibile separa spesso la legalità dall’illegalità, la giustizia dall’ingiustizia, il rispetto della legge e dalla sua non applicazione.
Il cinema ne è stato spesso testimone.
E’ noto che nella battaglia quotidiana al crimine i tutori dell’ordine sono costretti a usare talvolta metodi irregolari per vincere.
Nel noir francese detto “polar”, gli sbirri e i delinquenti hanno molte volte l’ abitudine di scambiarsi i ruoli.
Poliziotti bastardi e delinquenti simpatici si alternano sullo schermo. In “Lo spione” di Jean- Pierre Melville il protagonista Jean-Paul Belmondo durante le riprese ad un certo punto ha esclamato: “ma allora lo spione sono io!”
Pur avendo letto ovviamente la sceneggiatura l’attore non aveva capito che lui era il traditore, colui che era utilizzato dalle forze dell’ ordine per colpire la criminalità.
Così andavano e vanno le cose nel “milieu” (la malavita).
E’ quanto succede anche in “Sicario”.
Per raggiungere un risultato tutti i mezzi sono buoni….
Basta non farlo sapere in giro…. Il film mi ha fatto ricordare la fine di “In nome del popolo italiano” del 1971 di Dino Risi che ha anticipato senza volerlo “l’era Berlusconi”.
Vittorio Gassman è un industriale privo di scrupoli, inquinatore, corruttore e anche puttaniere coinvolto nella morte di una ragazza tossicomane.
L’integerrimo giudice Ugo Tognazzi lo mette sotto inchiesta. Scopre tutte le nefadezze da lui compiute, ma impossibili da perseguire ai termini di legge. Nel diario della donna vi è la conferma dell’ innocenza dell’uomo, ma l’agenda verrà buttata nella spazzatura e l’industriale pagherà così i suoi crimini in altro modo.
La fine del film è da antologia. L’Italia nel giugno 1970 è arrivata seconda ai campionati mondiali di calcio svoltisi in Brasile e la gente ignara e indifferente alla immoralità pubblica festeggerà per le strade la semi vittoria. Il giudice amareggiato passerà loro accanto con la consapevolezza di aver dovuto commettere un’ ingiustizia per difendere la giustizia……
E a proposito di linee di confine tra legalità e illegalità, la prossima settimana arriverà nelle sale Black Mass – L’ultimo gangster con Johnny Depp, ne parleremo.
D’ accordo. Il tema dell’ ultimo film di Johnny Deep si presta ancora di più al nostro argomento,” la legalità e l’ illegalità questo è il problema !”