Due storie ambientate in epoche lontane e un luogo che dovrebbe collegarle, le prigioni di Bobbio: nella prima vicenda, ambientata nel Medioevo, suor Benedetta – murata viva per aver sedotto un prete e pure il suo gemello – dopo trent’anni viene smurata apparendo più bella, giovane e fresca che mai mentre nella seconda, ambientata oggi, un anziano conte che ha scelto di vivere in quelle prigioni distaccato dal mondo ne osserva le miserie.
Due storie e un luogo, come si diceva, e da parte mia lo stesso sintetico commento per entrambe: boh. Premetto che non ho dormito neppure una frazione di secondo e che ho seguito con attenzione il film per capire dove il tutto volesse andare a parare ma non sono riuscita a trovare coerenza tra le due parti né tantomeno sono stata coinvolta dalle singole storie – o meglio non-storie dense comunque di riferimenti alla Storia e al vissuto del regista -, dai dialoghi, dalle interpretazioni, e mi sono annoiata davvero tantissimo.
Epperò qualcosa da salvare c’è: le musiche sono belle, come sono belle alcune scene e le sorelle Perletti (Federica Fracassi e Alba Rorhwacher) strappano qualche sorriso.
In effetti, chi ha inaugurato la stagione cinematografica scegliendo magari uno dopo l’altro Sangue del mio sangue, Storie sospese di Stefano Chiantini (dove temi nobili, civili e attuali come gli scempi sul paesaggio vengono trattati in modo troppo semplicistico) e In un posto bellissimo di Giorgia Cecere (il quotidiano di una famigliola borghese nel Nord: mancanza di comunicazione, ancora buone intenzioni, altra noia soporifera) potrebbe anche giurarla al cinema italiano per qualche tempo.
E invece no: mercoledì scorso è uscito un bellissimo film, da correre a vedere, è Non essere cattivo di Claudio Caligari (mancato alla fine del montaggio), è ambientato a Ostia nel 1995 e racconta le storie e le disperazioni di Cesare e Vittorio, due fratelli di sangue ventenni che tirano a campare tra spaccio delle nuove droghe e altri affari loschi. Ma non conta tanto che cosa racconta, nulla di davvero nuovo dopo tutto, ma come Claudio Caligari lo fa e cioè con estrema onestà, con sincerità, senza ipocrisie né ovvi moralismi. E poi c’è un cast di giovani attori a cinque stelle, a cominciare da Luca Marinelli e Alessandro Borghi, semplicemente indimenticabili.
In sala, in sala a vedere Non essere cattivo…
Anch’io non ho dormito durante il film di Bellocchio impegnato nello sforzo disumano di riuscire a comprendere qualche cosa, per esempio il collegamento tra i due livelli temporali che il regista alterna continuamente. Leggendo poi le sue interviste veniamo a sapere che questa sua ultima fatica cinematografica è dedicata a suo fratello gemello suicidatosi diversi anni fa e alla storia della sua famiglia già ampiamente rappresentata nel suo cinema.
O.K., ma l’impresa per il povero spettatore immerso nel buio della sala è ardua. Detto questo è fuori dubbio che Bellocchio sia un grande autore; che “Vincere”, tanto per citare un titolo, è un ottimo film e che il suo esordio con “I pugni in tasca” nel 1965 ha scosso il cinema italiano un po’sonnolento all’epoca firmando una pellicola che ha avuto il merito di anticipare la stagione della contestazione del ’68 rappresentata simbolicamente dalla rivolta contro l’istituzione familiare obsoleta.
Noi amiamo anche “Marcia trionfale”, 1976; un film dimenticato; uno spaccato notevole della vita militare con Michele Placido, Franco Nero, Miou Miou.
Chi ha fatto la “naja” può ancora oggi identificarsi vedendo il film in dvd o in tv nella povera recluta catapultata in caserma tra piccoli e grandi soprusi e le assurdità spesso anche grottesche ed inutili vissute dai giovani in divisa.
Ecco, noi amiamo quel Bellocchio meno narciso ed ermetico.
Caro Marco ti aspettiamo nuovamente con il tuo talento magari visionario, ma soprattuto realistico……