di Cristina
Il ragù napoletano (O rraù in napoletano) è probabilmente il condimento più conosciuto della cucina napoletana, nonostante la sua poca diffusione nell’uso quotidiano, a causa della complessità della preparazione e dei tempi lunghi di cottura. Per questi e altri motivi il ragù napoletano è un piatto tipicamente festivo che consiste nell’unione a tritatura di diversi tipi di carne, bovina e suina, cotti in una salsa di pomodoro, a fuoco molto lento. A Napoli alla fine del ‘300 esisteva la Compagnia dei Bianchi di giustizia che percorreva la città a piedi invocando misericordia e pace. La compagnia giunse presso il palazzo dell’Imperatore, tuttora esistente in via dei Tribunali, che fu dimora di Carlo, imperatore di Costantinopoli e di Maria di Valois, figlia del re Carlo d’Angiò. In quel periodo il palazzo era abitato da un signore nemico di tutti, tanto scortese quanto crudele e che tutti cercavano di evitare. La predicazione della compagnia convinse la popolazione a rappacificarsi con i propri nemici, ma solo il nobile che risiedeva nel palazzo dell’Imperatore decise di non accettare l’invito dei Bianchi nutrendo da sempre antichi e tenaci rancori. Non cedette neanche quando il figlio di tre mesi, in braccio alla balia sfilò le manine dalle fasce e incrociandole gridò tre volte: “Misericordia e pace”. Il nobile era accecato dall’ira, serbava rancore e vendetta. Per intenerirlo, un giorno, la sua donna preparò un piatto di maccheroni. La provvidenza riempì il piatto di una salsa piena di sangue. Commosso dal prodigio, l’ostinato signore si rappacificò con i suoi nemici e vestì il bianco saio della Compagnia. Sua moglie, all’inaspettata decisione, preparò di nuovo i maccheroni che, anche quella volta, come per magia, diventarono rossi. Quel misterioso intingolo aveva uno strano, invitante profumo, e il signore, nell’assaggiarlo, trovò che era veramente buono e saporito, lo chiamò così, “Rau”, lo stesso nome del suo bambino .
Questa la leggenda, in realtà il termine ragù deriva dal francese ragout che indica un tipo di cottura di carne e verdure, simile allo spezzatino. Originariamente costituiva il piatto unico della domenica, il sugo veniva utilizzato per condire la pasta e la carne consumata come seconda portata. I tipi di carne indicati nella preparazione sono numerosi e possono variare anche da quartiere a quartiere, la carne non è macinata, ma cotta a pezzi grossi da 500 grammi fino a un chilo di grossa bistecca, farcita con ingredienti vari, (uvetta, pinoli, formaggi, salami o lardo, noce moscata, prezzemolo) e legata con uno spago. Generalmente viene utilizzato un misto di carne di mezzo (tagli anteriori e poco pregiati, che necessitano di una lunga cottura)e di maiale. Troviamo il muscolo di manzo (gamboncello o piccione), le spuntature di maiale (tracchie), l’involtino di cotenna (cotica), la polpetta e la braciola, termine che viene usato per indicare l’involtino di manzo ripieno con aglio, prezzemolo, pinoli, uva passa e dadini di formaggio.
Tradizionalmente la preparazione del ragù inizia di buon mattino, se non il sabato sera, perché la salsa si deve addensare, cuocendo a fuoco lento fino a diventare di una consistenza molto cremosa, prima di poter condire degnamente una buona pastasciutta. In molte varianti del ragù napoletano viene impiegato un cucchiaio di concentrato di pomodoro. Il ragù e non “carne c’ ‘a pummarola”, come recita la poesia di Eduardo, non è facile da realizzare e inoltre, per essere saporito come quello della mamma di De Filippo, richiede una lunghissima cottura; attualmente si usa chiamare ragù un sugo di pomodoro nel quale si è cotta della carne. Il ragù, come recita Eduardo, veniva cotto su una fornacella a carbone per almeno 6 ore. La pentola in cui si dovrebbe cuocere è un tegame di rame e, per rimestarlo, occorre la cucchiarella di legno .
Ingredienti: 1 kg di spezzatino di vitello, 2 cipolle medie , 2 litri di passato di pomodoro, 2 cucchiai di concentrato di pomodoro, 200 gr. di olio di oliva, 6 tracchiulelle (costine di maiale), 1/4 di litro di vino rosso, preferibilmente di Gragnano, basilico e sale q.b.
Esecuzione: è consigliabile prepararlo il giorno prima mettendo la carne nel tegame insieme alle cipolle affettate sottilmente e all’olio. Carne e cipolla dovranno rosolare insieme: la prima facendo la sua crosta scura, le seconde dovranno a mano a mano appassire senza bruciare. Per ottenere questo risultato, bisogna rimanere ai fornelli pronti a rimestare con la cucchiarella di legno e bagnare con il vino. Appena il sugo si sarà asciugato e le cipolle si saranno consumate fino a quasi sparire, la carne sarà diventata di un bel colore dorato, sciogliete nel tegame un cucchiaio di conserva e aggiungete la passata di pomodoro. Regolate di sale e mettete a cuocere a fuoco bassissimo, il ragù dovrà, come si dice a Napoli, pippiare parola onomatopeica che ben descrive il suono del ragù, cioè dovrà sobbollire appena. A quel punto, coprite il tegame con un coperchio senza chiuderlo del tutto. Il ragù dovrà cuocere 3 ore almeno, di tanto in tanto rimescolatelo facendo attenzione che non si attacchi sul fondo.
Nei miei pranzi famigliari – purtroppo tutto questo risale a due anni fa – lo modificavo in questo modo: prendevo sei fette di carne farcite con aglio a pezzetti, prezzemolo, sale, pepe nero, formaggio pecorino romano a pezzetti le chiudevo con uno stuzzicadenti, le facevo rosolare per una mezz’oretta con una cipolla a fette e con l’aglio, quando era ben rosolato e aveva preso un bel colorito, aggiungevo il passato di pomodoro e un cucchiaio di concentrato, sale quanto basta e una manciata di basilico, la cottura deve essere sempre molto lenta, minimo due ore. Un’altra mia variante: friggevo a parte delle polpette e poi le aggiungevo al ragù, la procedura è sempre identica, non bisogna dimenticarsi mai di aggiungere il basilico.
Et voilà la ricetta del ragù napoletano, famoso nel mondo.