Nel nuovo ufficio-acquario ho una stanza piccola, ma con dentro una porzione di cielo enorme. Così mi sono seduta di fronte al cielo, in molti mi hanno chiesto come faccio a dare le spalle al passaggio umano. Ma mica ho paura che qualcuno mi ammazzi. Il che è strano, considerato il mio variegato assortimento di paure. Qui tuttavia mi sento al sicuro, e poi guardo fuori, nuvole, stormi di uccellini che fanno le forme, un falchetto che litiga con un corvaccio, guardo anche quando non succede nulla, anzi mi imbambolo davanti a quella, come la chiama un mio amico, premessa o promessa di Infinito. Ogni tanto dentro l’Infinito ci finisce un signore, molto ben vestito, traversa la scena a testa bassa, camminando piano, forse telefonando o fumando la pipa (ogni tanto se ne sente il profumo, nel disimpegno da cui si accede alle balconate). Ogni volta che appare sobbalzo per lo spavento. Io sono lì che flirto con l’Infinito e lui passa dentro a rendere tutto relativo. Cammina lentamente senza curarsi di noi acquariani, innocente dell’effetto che produce.