Il mio nuovo studio è una stanza in un imponente edificio che da fuori, anzi da lontano, ci arrivo a piedi, sembra un monolite. Ogni volta penso: urca! io sto lì. E’ anche tutto nero, ma dentro è molto aereo. Anzi acquatico. Le stanze sono altissimi parallelepipedi con pareti di vetro. La prima volta mi sembrava un enorme contenitore di acquari. Non per niente lì vicino ci facevano il ghiaccio. come farò – mi chiedevo considerando tutta quella trasparenza – a non fare quelle cose che faccio abitualmente in studio da sola, come togliermi le scarpe, sedermi per terra per una telefonata difficile, abbracciare il tavolo con braccia e faccia quando sono contenta? Ma soprattutto tutti questi acquari mi fanno venire voglia di percorrere i corridoi a crawl o anche a dorso, mi devo trattenere. Soprattutto mi devo trattenere dal fare scherzi ai miei vicini di stanza, quando vado o torno dal bagno (la mattina ci vado sempre quindici volte perché bevo troppo the) ogni volta ho un’ispirazione diversa. All’andata mi viene da fare la pattella sul vetro, appiccicatissima, al ritorno se incrociassi il loro sguardo farei la trasformazione in pesce palla, facendomi gonfiare la faccia come per un’esplosione e strabuzzando gli occhi. Loro mi sono molto simpatici, ma è meglio se mi trattengo, magari poi mi abituo.
Il mio vicino di stanza è un uomo grandissimo, sarà alto 6 o 7 metri, ma lavora a un portatile piccolo piccolo, così è sempre raccolto attorno a quel cosetto, non so come non gli venga mal di schiena. Una volta aveva le bretelle. Lui, non il portatile.