Nel 1999 – ai tempi del documentario Intervista a mia madre, girato dagli stessi registi quando sullo sfondo c’era una Napoli fiduciosa e in attesa – Fabio e Salvatore avevano dodici anni, Adele e Silvana quattordici. Raccontavano le loro vite – tutte casa, in famiglia, e nei vicoli del quartiere – e per il futuro sognavano tante cose belle.
Nel 2009 – dieci anni dopo quindi, in una città sfiduciata e paralizzata – Agostino Ferrente e Giovanni Piperno sono tornati a cercarli, hanno ripreso il racconto delle loro vite e li hanno inseguiti passo passo per quattro anni, fino al 2012, mescolando la narrazione del presente con brani delle interviste del passato.
Fabio, Salvatore, Adele e Silvana sono quattro adulti e sono riusciti a fare ben poco ma conducono esistenze dignitose e pulite. E poi nei loro occhi c’è la stessa luce speciale di un tempo, le speranze – per quanto disilluse e un po’sbiadite – ci sono ancora e il desiderio di farcela è sempre vivo.
Già, vivo. E vero. E commovente. E contagioso. E coinvolgente.
Così è Le cose belle, davvero un peccato perderlo.