Il cortile di un’antica casa di ringhiera vicino ai ponti delle Autostrade di piazzale Kennedy, è stata l’inconsueta location per uno dei 200 concerti previsti da Pianocity.
Via Catullo è stretta, evitatissima, e collega viale Certosa a via Gallarate; soffre di rilevanti problemi di marginalità sociale, di degrado edilizio e ambientale. E’ un microcosmo affollato di problemi, ma anche ricco di potenzialità e risorse. In preparazione del concerto, abbiamo visto spuntare alcune piantine di qualcosa che è stato seminato con il lavoro dei cittadini residenti nella via, il Comitato x Milano di Zona 8, a cascata l’Amministrazione comunale, il Consiglio di Zona 8, il Politecnico con il progetto Polisocial. Questo “qualcosa” è il risvegliare la luce della partecipazione in un gruppo di persone che sino a ieri se ne fregavano di tutto ciò che qui accade. E accade molto, qui. Magda, Florentino, Ibrahim, Dener, Karol, Vanda, Tess, Luigi, si sono dati un gran daffare nel preparare al meglio il cortile o portando agli ospiti non solo loro preparazioni culinarie multietniche (e squisite), ma anche il loro cuore (immagine retorica, ok, ma l’unica che rende l’idea di ciò che è successo davvero. E comunque il cuore … non era tra i cibi preparati!).
E’ stato una rivincita: verso le comunità di alcune altre etnie che non vogliono inserirsi, verso il negoziante che non ha appeso in vetrina la locandina del concerto, verso chi fa il giro lungo per non passare da via Catullo o chi non dava una lira all’idea di “un Politecnico” potesse aiutarci a studiare un progetto di rigenerazione e riscatto. Aprire questo “ghetto” alla città con il concerti è stata una condizione essenziale per avviare un tale progetto.
Dopo lo splendido concerto di musica contemporanea – tenuto da Andrea Macchi – è stata una festa nella festa. Noi che abitiamo qui, ci siamo mangiati insieme – stanchi ma contenti – un po’ di avanzi, ripulendo il cortile e rimuovendo gazebo, tavoli, e piatti sporchi. E abbiamo parlato. E ancora un po’ si piangeva. E abbiamo pensato che indietro non si può tornare,ma solo andare avanti.Avanti sulla strada della condivisione delle situazioni problematiche della casa e della via, avanti sull’essere solidali tra noi, avanti nel coinvolgere altri. AVANTI. Ci si è bevuto il bicchiere della staffa, che Ibrahim (unico rappresentante della folta comunità senegalese residente) ridendo, ha rifiutato in un perfetto italiano. Tutto finito, pian piano ci si saluta e si rientra nelle case, ma qualcosa ancora da dirci ci riporta per un attimo giù. Ibrahim entra in casa, ne esce tenendo in mano un libro. Che mi porge con il viso impassibile e nero nero. Al momento dò solamente un’occhiata al libro, presa e stupita più per il suo gesto squisito e inaspettato, che dalla sostanza della cosa. Poi abbasso gli occhi e leggo: SUI DIRITTI DELLE DONNE, di Mary Wollstonecraft. Mi si accappona la pelle. Lo guardo. Lui sempre impassibile e nero nero, mi gira le spalle e se ne va.Io gli urlo un GRAZIE che mi si stoppa in gola a metà. Abbiamo scopato via dal cortile le briciole, ma non i sorrisi scivolati dalle labbra, pulito con la canna dell’acqua il vino rovesciato, ma non la fatica gioiosa, richiuso il gazebo e tolto i fiori. Ma chissà perché, anche stamattina, li vediamo ancora lì. Miracoli a Milano.
Donatella Boccalari