Paolo Sorrentino racconta la crisi del nostro tempo attraverso lo sguardo del sessantacinquenne Jep Gambardella – disincantato giornalista mondano che fu autore, in gioventù, di un solo romanzo di successo – . Jep (Toni Servillo, sublime) – rassegnato al vuoto di un presente senza più occasioni e condannato all’eterno rimpianto di un passato che lasciava presagire un futuro diverso – ci guida per Roma tra feste con balli scomposti, cene in terrazza ed esibizioni artistiche incomprensibili che fustiga e verso le quali prova ribrezzo pur sguazzandoci e alimentandole con le sue cronache. Jep cammina, incontra, si agita e riflette in mezzo ad artisti vanitosi, scrittrici sputasentenze dotate solo dell’assenza di talento, nobili decaduti, cardinali esperti di cucina, bambine prodigio e ancora attricette senz’arte né parte e imprenditori sessuomani. In un continuo sterile blabla e in un crescendo carnevalesco di volti rifatti, volgarità, mancanza di valori, di prospettive e di speranze gli unici genuini si rivelano una spogliarellista con la malinconia negli occhi (Sabrina Ferilli, bravissima) e un poeta fallito (Carlo Verdone, magnifico) che troverà una via di uscita nel ritorno al suo paese, in provincia. Come si diceva, a incorniciare quest’affresco spietato e disperato di un’umanità alla deriva c’è Roma: talmente splendida da togliere il respiro, invitante e seducente con le sue forme classiche e le sue luci, ripresa soprattutto di notte e nella solitudine dell’alba. La grande bellezza prosegue nei titoli di coda: scorrono altri scorci di Roma e poi le indicazioni della bella colonna sonora arrivano verso la fine. E il film – potente e convincente nonostante le sue imperfezioni – ci accompagna anche una volta usciti dalla sala.