A proposito di condivisione, vorrei condividere con voi queste parole. Lina
Parlando di morte e di arte non posso non sentirmi coinvolto, in quanto eterno morto e, spero, futuro artista. Lo stesso posso dire riguardo al tema della cura: non posso non parlarne, in quanto eterno curabile, eterno curante ed eterno curato (senza alcun riferimento al significato religioso di questo termine). Il problema più grande è che morti si nasce, vivi si diventa. La difficoltà a diventare vivi è dovuta proprio alla paura della morte: in questo senso, quelli che io chiamo i “mezzi di distrazione di massa” hanno fatto un lavoro preciso e meticolosissimo, interessante ma di una violenza inaudibile, proponendoci solamente la fuga dalla morte, ovvero la sua rimozione. Qualcuno – e io sono senz’altro tra questi – si ostina a credere che si possa curare la morte attraverso l’arte: ecco, l’arte potrebbe essere il Caronte che ci porta verso una forma esagerata, profonda di aldilà, aiutandoci ad andare oltre, a parlare d’altro. Purtroppo oggi tutti noi siamo molto lontani da questo concetto, perché il comune parlare, esclusivamente di tipo economico e finanziario, ci ha allontanati e distratti, direi quasi castrati. Io definisco il nostro lo strato umano e non lo stato, nel senso che questi temi vivi e vividi, importanti e attuali, sono stati ricoperti da molti altri strati più superficiali, terreni e attuali. È la nostra malattia più grave, quella del “Morbo di Cronac”, siamo vinti quotidianamente da un’attualità che parla di morte ma non affrontiamo mai realmente questo tema.
Tratto da: L’arte come cura, con Giuseppe Sassatelli, Asmepa Edizioni, Bologna 2012.
http://www.asmepaedizioni.it/
Morti si nasce vivi si diventa. Ben detto signore, ho paura di aver esagerato con la vivezza.
Gran belle parole queste di Bergonzoni
Sono mesi che sto vivendo con la morte (la malattia di mio padre), è un periodo di riflessione continua e anche una sorta di “getta le zavorre Sintetico!?”; l’arte secondo me è una voce della morte perché si attualizza con gli occhi del presente qualcosa di pensato molto ma molto prima, quando il nostro presente era in divenire.