ero su un percorso accidentato, tanto per usare un eufemismo. a denti stretti affrontavo per la prima volta la consapevolezza di un fatto che investì la mia infanzia come un uragano e poi si nascose sotto il tappeto, fino ad essere disvelata (è la stessa traduzione di apocalisse, no?) circa 30 anni dopo, nello studio di un’analista. Il codice dell’anima di Hillman, capitato per caso tra le mie mani qualche tempo dopo, fu una seconda rivelazione, mi offrì un diverso punto di vista. e i punti di vista cambiano percezione e senso dell’esistere. bastò questa citazione, messa a mo’ di prefazione, tra le altre: “la cosiddetta esperienza traumatica non è un incidente, bensì l’occasione che il bambino stava pazientemente aspettando (e se non si fosse verificata quella, ne avrebbe trovata un’altra, ugualmente banale) per poter dare necessità e direzione alla propria esistenza, in modo che essa diventasse una faccenda importante.” Il libro fu tra le mie mani poco meno di 20 anni fa. Potete immaginare il mio stupore quando due anni fa entrando in una chiesa, per la prima volta in età adulta “volutamente” all’ora della messa, senza dover quindi compiacere nè accompagnare nessuno, semplicemente perchè dopo molti precedenti e non pianificati passi questo volevo fare. potete immaginare il mio stupore, allora, al momento dell’omelia -che apprezzo come sorprendente per contenuti e stile e trasversalità delle letture- quando sento citare james hillman? ricordo che sono così sbigottita che mi giro e interrogo con gli occhi le poche e distratte vecchiette che ho intorno per chieder loro: ma CHI di voi ha letto hillman? e concludo tra me e me, con imperdonabile superbia, o una fede principiante, che forse allora Dio vede anche me, parla anche a me. chissà