In quell’incerta eta` che va sotto il nome d’infanzia ero, mi dicono, molto cagionevole di salute. « Debole di polmoni e di bronchi, povera piccina », sentivo commentare attorno a me, dalla nonna, dalla
mamma, dal dottor Magstahler, che aveva i peli nelle orecchie e mi vellicava delicatamente la schiena quando mi visitava e mi faceva ridere imitando il rumore dei miei bronchi, e cran cran le belle rane, diceva. Per di piu` non vivevo forse a Milano, citta` non propriamente adatta ai polmoncini fragili? E in una trafficatissima via Ariosto, sotto i cui mu¨r passen e ripassavano i tramm, frecass e vita del me Milan?
Fatto sta che ho un’immagine precisissima di me, seduta a letto, nel lettone dei nonni, in una grande stanza di un grande appartamento, dal lato silenzioso che dava sul m&ælig;stoso cortile, sostenuta
da tre cuscini, e con (di gia`) pile di libri accanto.
Avevo otto anni e da tre leggevo, divoravo, bevevo tutto quello che mi veniva offerto in lettura. Soprattutto dalla mamma, che la sapeva lunga. Avevo cominciato con un libro meraviglioso, Storie della storia del mondo, di Laura Orvieto, che mi ha insegnato tutto quello che c’e` da sapere (per persone normali) su Achille, Ulisse, Omero, Virgilio e il loro mondo, e che con le sue illustrazioni aveva permesso alla mamma di spiegarmi la differenza tra i vasi a fondo rosso e i vasi a fondo nero, inizio di una passione per la vascologia greca. Avevo continuato con Carlottina e Carlottina, ovvero come mentire ai genitori per il loro bene (i genitori in questione sono una coppia alto-borghese di divorziati viennesi, le due gemelle separate dall’infanzia si ritrovano per caso in un campeggio estivo, si scambiano, li rimettono insieme, mentre una impara a cucinare le frittatine dolci e l’altra ad andare ai concerti). Ho proseguito con Cirip, corso di resistenza alle disgrazie (Cirip e il suo fratellino sono orfani e poveri), ma anche corso di grazia di vivere;
perche´ alla mia eroina, come a mia madre nei suoi racconti dei lunghi mesi vissuti nelle retrovie siciliane durante la guerra, bastavano un fiore e una candela per creare un’atmosfera festosa (a Cirip bastavano anche tre chiodi allineati per fare un bell’attaccapanni).
Poi mi vennero serviti i racconti da Shakespeare dei fratelli Lamb in una bella edizione illustrata che si e` persa nei mille traslochi della vita.
E infine e` arrivata Jo. Jo March. Magra, castana, spigolosa, divoratrice di mele e di libri come ero io nell’anno scolastico 1951-1952.
Si fa presto, ora, a ironizzare su Jo protofemminista, su Jo « che trascina il prodotto », su Jo che si considera un symbol, come fa molto spiritosamente Stefania Bertola nella sua esilarante introduzione
alla nuova edizione Einaudi – una sorta di incontro e intervista tra le sorelle March, con coda di polemica contro le noiose sorelle Bennet di Orgoglio e pregiudizio, e protesta delle March collocate dalla storia nello scaffale dei libri per ragazzi, mentre le Bennet trionfano in quello della letteratura.
Jo che legge, che ironizza, che ha un vestito con una pezza da nascondere come puo`, che si taglia i capelli, che se ne parte per andare a lavorare nella grande metropoli, che campa scrivendo, che sposa per amore non Laurie, bello e fatuo e forse gay, secondo la Bertola, ma il vecchio (ai nostri occhi di bambine) professor Bh&ælig;r. Un modello insuperabile di quel femminismo equilibrato per cui sono stata rimproverata tante volte dalle mie amiche piu`estremamente rivoluzionarie ed ideologhe.
Ma rileggendo l’inizio del romanzo, che ho sempre immaginato (potere del cinema) incarnato dal cast della seconda versione cinematografica del libro, da cui provenivano le illustrazioni, quella in cui Jo era June Allyson, il frivolo Laurie era Peter Lawford e Bh&ælig;r Rossano Brazzi, ho letto che Jo faceva pensare a « un puledro ». Che sia stato questo, a farmi sentire cosi` profondamente affine alla mia proto-eroina? Che sia stato perche´ anche la mia mamma, in quegli anni, mi chiamava puledro, per la confusione di braccia e di gambe che mi circondava? Da quel lettone dove si consumarono per mesi le mie coatte assenze da scuola e i miei studi sui sacri testi, con la lettura di Piccole donne e di Piccole donne crescono (ma non mi sono risparmiata il resto del ciclo) e` iniziata la mia confusa e lenta scalata l’indipendenza
e all’autonomia.
Per carita`, Jo March, visti i tempi e il contesto, ha fatto piu` fatica e ha fatto di piu`, compreso diventare un modello, a quanto pare, per milioni di aspiranti Jo, che ignorano quasi l’esistenza di punte piu` estreme di liberta` per eleggerla a simbolo. Io mi accontento di averla precocemente incontrata nel lettone dei nonni, e di avere schivato il destino di Amy e di Meg. E, nel mio piccolo, di aver trovato, come Jo, una ragionevole liberta`.
pubblicato per gentile concessione di Longanesi, tratto da I libri ti cambiano la vita. Cento scrittori raccontano cento capolavori, a cura di Romano Montroni.