"Poco prima dell'alba, qualche luce fende l'oscurità, lame oblique sulle ombre che s'addensano per le strade vuote e le corrono incontro. Sopraffatta, Sylvia non regge più alla tentazione. Per favore chiamare il dottor Horder, scrive su un biglietto con il numero telefonico del medico, che attacca alla carrozzina di Nick, giù in fondo alle scale, dietro il portone d'entrata. Quindi sale in casa e prepara pane e burro e due tazze di latte che posa sul comodino nella camera dei bambini. Apre la finestra, benché l'aria sia fredda, e chiude bene la porta. Sigilla ogni fessura con nastro isolante e asciugamani arrotolati, poi scende sicura verso la cucina, dove si chiude dentro, isolandosi dall'esterno con lo stesso sistema. Apre lo sportello del forno, aggiusta un panno sul ripiano per accomodare la testa e dopo aver aperto la manopola del gas, si inginocchia e affonda il viso sul morbido, gli occhi nel buio."
Da Sylvia, di Stefania Caracci, e/o
tratto dal bel sito http://www.sylviaplath.altervista.org
Una grande depressa che ha grattato con le unghie il fondo del suo dolore assolutamente inconsolabile. Una grande p&œlig;tessa che ha saputo fare della sua malattia un’arte. Una grande anima che solo nell’autodistruzione è riuscita ad esprimere compiutamente la sua “fatica di vivere”. Riposa finalmente in pace. A noi riflettere su quanto una vita possa risultare insopportabile. L’eterno mistero che è dentro e fuori di noi.
P.S. Stanotte ho pensato come, curiosamente, depressa faccia rima con p&œlig;tessa. Un motivo ci sarà, credo di intuirlo..